Italia

Nel 2015 sono diminuiti i furti in appartamento

  • Abbonati
  • Accedi
RIFORMA DELLA LEGITTIMA DIFESA

Nel 2015 sono diminuiti i furti in appartamento

Roma, Torino, Milano: tre grandi città che, nel 2015, hanno registrato un calo, rispetto al 2014, dei furti in appartamento, a differenza dei furti in strada per i quali si è verificato, invece, un aumento. I dati raccolti dal Sole 24 ore negli uffici di Procura delle tre città smentiscono l'allarme che ha accompagnato il dibattito politico, parlamentare e mediatico sulla «legittima difesa», fondato non solo sulla «percezione di insicurezza» dei cittadini ma addirittura sul presunto aumento dei furti in casa. Non è così. La Procura della Repubblica di Roma ha ricevuto, nel 2015, 1.559 denunce per il reato previsto dall'articolo 624 bis (che comprende furti in appartamento e scippi), a fronte delle 1.881 del 2014; quella di Torino ha contato 5.992 denunce per lo stesso reato, rispetto alle 9.983 del 2014 e la Procura di Milano 1.964 a fronte di 3.259 dell'anno precedente.

Non c'è dubbio che nel 2014 i furti siano stati in vetta alla classifica dei reati, in controtendenza rispetto alla diminuzione di altre forme di criminalità, come testimoniano i dati dell'Istat relativi a quell'anno. I numeri delle Procure di Roma, Torino e Milano confermano questo trend anche nel 2015, ma limitatamente ai furti di strada (si veda Il Sole 24 ore del 22 febbraio) non anche per quelli in appartamento. Si tratta di una fotografia parziale della penisola, ma pur sempre significativa poiché riguarda tre grandi città, che comunque fa cadere uno degli argomenti più gettonati a sostegno della riforma della «legittima difesa» proposta dalla Lega e in parte avallata dalla maggioranza di governo, sia pure con una serie di distinguo sia al proprio interno sia rispetto all'opposizione.

La Lega propugna infatti di introdurre una sorta di «presunzione assoluta» di legittima difesa ogni volta che un ladro si introduce in casa, facendo quindi scattare automaticamente la scusante per chi reagisce ferendo o uccidendo: la difesa è legittima sempre, e il giudice può solo prenderne atto. Una soluzione che, proprio a causa di questo automatismo, odora di incostituzionalità, quanto alla sua ragionevolezza. Il Pd si è mosso su un piano diverso dalla «legittima difesa», e cioè quello dell'«errore» in cui è indotto chi reagisce - ferendo o uccidendo - perché crede di trovarsi in una situazione di pericolo (che come tale legittimerebbe la sua difesa): se l'errore è frutto di un «grave turbamento psichico» determinato dal ladro, la reazione non va punita, neanche a titolo di colpa. Una soluzione che lascia sempre al giudice la decisione, sulla base di una valutazione caso per caso sullo stato psicologico di chi spara (o comunque ha una reazione aggressiva sproporzionata). Valutazione ovviamente imprescindibile, che già oggi viene effettuata, anche se non sempre, e non da tutti i giudici, attribuendo allo stato psicologico (il «grave turbamento psichico») il peso che secondo il Pd dovrebbe avere, portando così all'assoluzione.

«Alcune sentenze di assoluzione valutano già oggi la reazione di una persona impaurita e turbata che ha agito temendo il pericolo di un'aggressione per la propria incolumità o per quella dei suoi familiari, se le circostanze concrete non permettono di escludere un'evoluzione dell'aggressione in senso lesivo dell'integrità fisica» osserva Ezia Maccora, Gip a Bergamo autrice, fra l'altro, di una sentenza che a gennaio del 2014 assolse dall'accusa di omicidio un uomo che aveva sparato a un ladro, uccidendolo (sentenza confermata in appello).

L'Aula della Camera ha rinviato la riforma in commissione per un supplemento di istruttoria. Anche se le vere ragioni sono politiche (evitare strappi nella maggioranza e contrapposizioni su un tema “popolare” come la legittima difesa a oltranza), mai come in questo caso il rinvio è una saggia decisione per una riforma che va ponderata, che rischia di creare un clima da far west e della quale, soprattutto, non c'è alcuna urgenza, come dimostrano i dati del 2015 delle Procure nonché i margini di interpretazione della normativa vigente che i giudici hanno, già oggi, per valutare il «grave turbamento psichico».

© Riproduzione riservata