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Davigo, l’Anm e il rischio di una deriva corporativa

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l’analisi

Davigo, l’Anm e il rischio di una deriva corporativa

Davigo che buca il video. Davigo comunicatore sapido ed efficace. Davigo simbolo di Mani pulite. Davigo che fa audience. È (anche) per tutto questo che i magistrati, al di là delle loro differenti sensibilità culturali, hanno scelto Piercamillo Davigo come presidente dell’Anm. In una stagione difficile per la giustizia - in crisi di identità e di fiducia e sempre più spinta verso una deriva corporativa - i magistrati hanno deciso di puntare sulla notorietà e sulla collaudata dialettica del “Dottor sottile” (che in passato ha persino vinto un premio per la satira) per respingere le bordate di un Presidente del Consiglio altrettanto “sottile” nel cercare di metterli nell’angolo. Divisi tra loro, ma uniti dalla voglia di esistere mediaticamente, hanno scelto di privilegiare la comunicazione, più che i contenuti della comunicazione. Salvo poi scoprirsi spiazzati, orfani proprio di contenuti, di argomenti. Di una linea politica comune, insomma.

È il tono che fa la musica. Tra le numerose eredità (negative) lasciate dal berlusconismo c’è anche quella di una comunicazione strillata e stonata, e tuttavia coltivata anche a livello istituzionale. La semplificazione estrema del linguaggio conduce spesso alla banalizzazione e alla contrapposizione (a volte anche alla manipolazione), eppure sembra l’unica strada per veicolare messaggi che, per la loro complessità, richiederebbero invece riflessione, argomentazione, tempo. Ergo: esisti soltanto se stai nel recinto di un tweet, nei secondi di una risposta da talk show, nelle battute di un titolo di giornale. Sempre che dentro ci siano anche gli ingredienti della polemica. Tutto il resto è noia.

In base alle regole (perverse) di questa comunicazione, i messaggi mandati da Davigo (con l’intervista al Corriere della sera) si potrebbero ulteriormente semplificare in cinque enunciati: in Italia ci sono poche carceri; ci vuole il numero chiuso per gli avvocati; importiamo migranti perché abbiamo una repressione penale debole; i politici rubano; i magistrati fanno sempre il loro dovere. Così sono stati percepiti, persino dai suoi colleghi. D’altro canto, anche i messaggi del premier Renzi sulla giustizia, a volerli semplificare, si potrebbero riassumere in pochi enunciati: i giudici sono fannulloni; guadagnano troppo; condannano con gli avvisi di garanzia ma non con le sentenze, che non arrivano mai; finalmente chi di loro sbaglia, pagherà. E così vengono percepiti. Un dialogo surreale, in cui vince la battuta più efficace. Uno scontro verbale privo di rispetto istituzionale ma soprattutto afasico quanto a contenuti.

Ovviamente, gli interventi di Davigo negli ultimi venticinque anni vanno ben oltre la battuta e sono ricchi di contenuti, condivisibili o meno. Oggi, però, cambiano il ruolo, la platea, gli interlocutori. Nessuno può chiedergli di zittirsi e di «parlare solo con le sentenze». Anzi. Il presidente dell’Anm ha il diritto e il dovere di parlare e anche di reagire, se necessario. Detto questo, Davigo deve anzitutto spiegare dove vuole portare l’Anm, evitando difese corporative. Deve chiarire se quei cinque enunciati corrispondono alla linea politica associativa. Deve prendere posizione sulle riforme in cantiere e sulle prospettive di riforma su temi cruciali come il carcere e le politiche sulla sicurezza, su cui finora c’è stato invece un silenzio assordante dell’Anm, salvo leggere che il presidente chiede più prigioni e più repressione penale per arginare l’immigrazione. Deve affrontare la questione morale nella magistratura. Lo spartito, insomma, è ancora da scrivere. E lo spazio armonico entro cui muoversi è abbastanza ampio da trasformare lo scontro in confronto, anche serrato, ma costruttivo.

Sarebbe preoccupante se l’afasia sui contenuti riflettesse l’assenza di un “sentire comune” delle diverse componenti dell’Anm. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura vanno difese, sempre, ma anche in funzione di garanzia dei diritti di tutti. Questa è la priorità di Davigo in questo momento: costruire e cementare l’unità della magistratura attorno a quei valori, e non a istanze corporative.

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