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Berlusconi vira su Marchini, rissa a destra

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Berlusconi vira su Marchini, rissa a destra

  • –Mariolina Sesto

ROMA

Quando i big azzurri varcano la soglia di palazzo Grazioli è già tutto deciso. In quelle stesse stanze, poco prima, una stretta di mano tra Silvio Berlusconi e Alfio Marchini sanciva l’intesa che porta Forza Italia a mollare Guido Bertolaso e ad appoggiare la corsa dell’imprenditore a sindaco di Roma. Ma ancora di più, sul piano politico, riavvicina l’ex premier al centro moderato e lo allontana dall’asse lepenista di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. E i centristi brindano. Pierferdinando Casini esulta: «Quella di Berlusconi è una svolta epocale».

I sondaggi preoccupanti ed il rischio di una débacle azzurra, incapace di tenere il passo del “duo” Salvini-Meloni, fa sì che il capo di Fi si convinca in corsa del cambio di cavallo. E nel pomeriggio è lo stesso Guido Bertolaso a ritirare la candidatura: «Ho deciso di sedermi in panchina per favorire l’unione dei moderati, ma resto a disposizione della città». La svolta, dopotutto, altro non è che un ritorno al passato. Marchini infatti - ha spiegato lo stesso Berlusconi al vertice del suo partito - è sempre stata la nostra prima scelta, come Lettieri e Parisi è un «uomo del fare», non viene dalla politica e poi era un candidato che piaceva anche a Matteo Salvini. Dettaglio non indifferente, tanto che gli azzurri decidono di metterlo nero su bianco nella nota con cui annunciano prima dell’ora di pranzo di convergere sull’imprenditore romano. Ma che l’intesa con Marchini fosse nell’aria lo si intuiva dal fatto che i contatti non si erano mai interrotti nonostante Bertolaso venisse blindato a suon di dichiarazioni dello stesso Berlusconi. A suggellare l’intesa una telefonata con il Cavaliere e poi l’incontro in mattinata a palazzo Grazioli.

Il sostegno a Marchini consente a Berlusconi di uscire dal cono d’ombra in cui era finito con l’isolamento su Roma ed il rischio che il suo candidato arrivasse ultimo nella corsa elettorale. «Ora possiamo giocarci la partita», è stata la premessa con cui l’ex premier ha accolto a palazzo Grazioli lo stato maggiore del partito. Ai big Fi, il Cavaliere ha fatto capire come quello che ha in mente sia un progetto che va oltre le elezioni amministrative: ricostruire una forza moderata - è stato il ragionamento - ci consente di essere l’ago della bilancia non solo in un eventuale ballottaggio nella Capitale ma anche in vista delle elezioni politiche. Isolare l’ala più estremista rappresentata da Giorgia Meloni e Matteo Salvini è poi l’altro obiettivo: «Per vincere, la Lega - spiega uno dei big azzurri presenti al pranzo - ha bisogno di noi, basta vedere la situazione a Milano». Ed è durissima la reazione sia di Meloni che di Salvini, entrambi convinti che il vero mandante della scelta berlusconiana sia Renzi. «Un pattone del Nazareno» sintetizza la candidata Fdi, mentre il leader leghista esclama: «Renzi e Casini chiamano e il Cavaliere risponde». Il segretario della Destra Francesco Storace sembra invece intenzionato a convergere su Marchini.

La decisione di convogliare tutte le forze su Marchini ha come effetto quello di mettere a tacere le polemiche interne a Fi anche se, racconta chi era presente al vertice, Giovanni Toti non ha mancato di esprimere i suoi dubbi rispetto al fatto di voltare le spalle al Carroccio con cui Forza Italia governa in tre regioni del Nord.

Ma la possibilità di riaprire un dialogo con le forze moderate (progetto da sempre sponsorizzato dalle aziende, dal braccio destro Gianni Letta e dal cosiddetto cerchio magico) rafforzando così il ruolo di Fi rappresenta per l’ex capo del governo la carta migliore da poter spendere in futuro sia con la Lega che con il Pd targato Matteo Renzi. Guai a parlare di un nuovo “patto del Nazareno” ma di certo il Cavaliere si lascia aperta ogni possibilità. Ora però c’è da guardare ai risultati delle amministrative e soprattutto “testare” il consenso di Alfio Marchini. Diversi ancora i nodi da sciogliere come ad esempio la presentazione delle liste e l’ipotesi che Fi sia costretta a non presentare il proprio simbolo visto che l’imprenditore romano da sempre si è professato come un uomo «libero dai partiti».

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