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La parabola della Città della speranza e del suo fondatore Franco Masello

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La parabola della Città della speranza e del suo fondatore Franco Masello

Spes contra spem. La speranza contro la speranza. La massima paolina, se intesa in senso letterale, si attaglia perfettamente alla parabola della Città della speranza di Padova, fondata nel '94 da Franco Masello, imprenditore self made man di Malo, il paese dello scrittore Luigi Meneghello, che nei primi anni '90 visse il dolore per la scomparsa del suo piccolo nipote, colpito da una leucemia. A quei tempi nel già opulento Nordest il reparto di pediatria dell'ospedale di Padova era confinato in poche e squallide stanze. I bambini colpiti da tumori del sangue morivano in tanti. Una strage silenziosa.

A Masello non piace per nulla lo spettacolo che si srotola sotto i suoi occhi. Decide che i bambini meritano di più, per esempio un reparto di oncoematologia pediatrica degno di questo nome. Nasce così la Città della speranza, tenuta a battesimo da piano di fund raising primitivo cui aderiscono con generosità i grandi nomi dell'imprenditoria padovana e veneta. Dopo qualche anno di raccolta Masello stacca un assegno miliardario (parliamo di lire) per la costruzione di un nuovo reparto. Il suo gesto commuove il Nordest. Cittadini di ogni estrazione vanno in processione da questo benefattore. L'imprenditore vicentino potrebbe tornare alla sua attività imprenditoriale. Oppure continuare a rastrellare fondi da dirottare all'università di Padova o all'azienda ospedaliera. A quei tempi è amministratore delegato della DeRoma di Malo, un'azienda familiare che sta per quotarsi a Piazza Affari. E invece no. Masello si autoproclama l'imprenditore che cambierà il corso della ricerca scientifica in Italia. E lancia l'idea di costruire una cittadella di quasi due ettari in cui lavoreranno 400 tra ricercatori e scienziati di ogni parte del mondo. Lui parla solo di raccolta fondi per finanziare grandi progetti di ricerca.

Il suo postulato è semplice: “Dobbiamo fare come negli Usa: più soldi, più ricercatori e più brevetti”. Solo che non ha l'autorità scientifica per accreditarsi, e neppure i soldi per finanziare programmi così costosi. Per costruire la torre della ricerca servono oltre 30 milioni, esclusi i macchinari. Il terreno glielo regalano la Zip, la Zona industriale di Padova, e il Cnr. Il progetto dalla forma immaginifica è firmato dall'archistar Paolo Portoghesi: rappresenta l'elica del Dna cellulare, l'origine stessa della vita. Alla posa della prima pietra, siamo nel 2009, le foto, poi frettolosamente eliminate dal sito, immortalano il nostro benefattore insieme con un raggiante presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan, qualche anno più tardi travolto dalle tangenti sull'affare Mose. “Il Nordest sono io” proclama Galan. E Masello sembra scimmiottarlo. “La ricerca oncoematologica sono io”. Il fund raising, più un mutuo di una dozzina di miliardi, bissa il miracolo di una dozzina di anni prima. Nessuna critica, solo lodi per Masello, che ormai gioca in proprio. È lui il comandante in capo, con le donazioni, le sottoscrizioni e i lasciti testamentari di tanti benefattori. Un anno dopo, per strutturare organicamente la linea di comando, la Fondazione Città della speranza gemma l'Irp, l'Istituto di ricerca pediatrica nel quale sono rappresentati l'università patavina, l'azienda ospedaliera e la fondazione Cariparo, che assicura un finanziamento di dieci milioni per dieci anni, malgrado la maggioranza sia saldamente in mano a Masello. Innalzata la torre di nove piani si devono fare i ricercatori, i “produttori” di brevetti. Masello ne ha a libro paga settanta, gli altri 150 (ma lui sostiene che in totale sarebbero 292) sono pagati dall'ateneo, l'azienda ospedaliera o altre istituzioni. Si parte, ma in realtà la macchina fatica maledettamente a mettersi in moto.

Il presidente della Fondazione discetta di Mit di Boston, centri di ricerca di Houston, ma poi al vertice sia della Fondazione che dall'Irp coopta solo persone di cui si fida ciecamente. Come Stefania Fochesato, una volontaria di Monte di Malo, e Andrea Camporese, socio-alter ego (sempre vicentino) in una delle otto aziende di sua proprietà. A mediare tra i fedelissimi di Monte di Malo e i padovani c'è solo il medico di base Stefano Bellon, vicepresidente della Fondazione e direttore generale, un gigante di due metri, da giovane campione olimpionico di nuoto. Le sviste e i passi falsi non si contano. Comprese le gaffe della Fochesato, una testimonial discutibile, che sulle ali dell'entusiasmo rilascia interviste alle tv locali in cui parla di un centro di ricerca con 400 ricercatori. Nel 2014, quando sindaco di Padova diventa il leghista Massimo Bitonci, anche i rapporti con Bellon, vicino al centro-sinistra, amico fraterno dell'ex sindaco Flavio Zanonato e sostenitore della linea dell'ateneo sull'approccio alla ricerca, si fanno gelidi. Con l'università non va meglio. Durante i Cda volano parole grosse tra Masello e l'ex rettore Giuseppe Zaccaria. Florilegi in cui ci si scambia insulti pesanti. Il succo è sempre lo stesso. Masello attacca gli universitari come un ariete: “Siete dei fannulloni”. Con i rappresentanti dell'ateneo che per reazione si arroccano e disertano i consigli di amministrazione.

Una situazione che non piace per nulla alla fondazione Cariparo, l'ufficiale pagatore. Con due domande cruciali eternamente in sospeso: qual è la governance della Città della speranza, e chi è il direttore scientifico? Non sono più gli anni '90, quando Masello, come racconta al Sole-24 Ore, metteva uno sull'altro 600 milioni di vecchie lire per strappare dall'università di Torino il professor Giuseppe Basso, ordinario di Oncoematologia Solo un anno fa, sotto la pressione della fondazione bancaria, Masello affida quel ruolo a Marco Pierotti, ex direttore scientifico in pensione dell'Istituto dei tumori di Milano. Pierotti sta a Padova dal lunedì mattina al mercoledì pomeriggio. E gli americani, e i giovani cervelli italiani emigrati oltreoceano, e Mauro Ferrari, lo scienziato italiano presidente e Ceo dello Houston Methodist Research, che Masello farebbe carte false per portare nella città del Santo? Ci vorrebbero tanti soldi, tante idee, ma soprattutto degli azionisti-finanziatori in sintonia tra loro. Masello non sa più dove rastrellare fondi. Finisce male anche il progetto “100 per 100”, cento imprenditori per 100mila euro di finanziamento a testa. “In sette hanno detto sì”, racconta Masello. Ma Bellon lo corregge: “In realtà sono due e mezzo. E uno dei due si chiama Franco Masello”. Un pasticcio. Al quale si aggiunge la terza faccia dell'imprenditore uno e trino.

Il fondatore della Città della speranza ha scalato pure le vette della politica. E nel 2010 il suo amico leghista, l'assessore Marino Finozzi, lo chiama alla presidenza di Veneto promozione, una delle tante società contestate della Regione. Il resoconto di questi anni sta in una interrogazione presentata in marzo al consiglio regionale dai pentastellati: appalti sopra i 40mila euro assegnati senza gara, competizioni ciclistiche organizzate in Brasile del valore di 250mila euro e mai tenute, duplicazioni tra Vicenza, Padova e Palazzo Balbi per una missione in Iran. Il successore di Finozzi, Federico Caner, non è per nulla tenero: “O cambia o la chiudo”. Masello risponde indignato e minaccia le dimissioni: “Ogni azienda accompagnata nei workshop, prima del mio arrivo, costava 350 euro. Con me ne bastano 150”. Morale: allo stallo della Città della speranza si sommano altre questioni spinose: “Manderò a quel paese chiunque mi parli di Galileo Galilei: siamo nel 2016, non nel 600” ringhia l'imprenditore vicentino. Che proprio per dimostrare ai baroni universitari di che pasta è fatto, qualche mese fa ha rilevato due sedi su tre di una partecipata in crisi della Regione, Veneto Nanotech, in liquidazione dopo aver bruciato una quarantina di milioni di investimenti. Missione della nuova società: progetti di ricerca e brevetti a nastro. Repetita juvant?

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