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A Roma canzoni e dedica a Regeni, a Taranto la politica. Lo stanco rito…

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A Roma canzoni e dedica a Regeni, a Taranto la politica. Lo stanco rito del concertone del Primo maggio

Forse in Europa bisognerebbe adottare il concetto di spread tra i Paesi che hanno Glastonbury e quelli che hanno il concertone del primo maggio. Anzi, parliamo pure al plurale: «i concertoni» del primo maggio, perché da ormai quattro anni all'evento di San Giovanni Laterano organizzato da Cgil, Cisl e Uil si affianca – e contrappone – quello delle mura greche di Taranto, messo in piedi dal Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti.

Una volta si diceva che San Giovanni Laterano rappresentava un po' la Sanremo della musica indipendente italiana. Se volessimo utilizzare oggi le stesse categorie, dovremmo arrenderci davanti al fatto che la musica indipendente italiana - con rare eccezioni - se la passa maluccio (non che il mainstream stia poi così meglio, eh). Le due maratone musicali e televisive partite ieri pomeriggio e conclusesi nella notte si sono a lungo equivalse, nel senso che gli ospiti apparsi su di un palco sarebbero potuti tranquillamente salire sull'altro. Sempre che non l'abbiano già fatto l'anno scorso o quello prima. Ai punti vince Roma, ma la differenza la fa il budget di chi organizza che si traduce in una migliore confezione televisiva (una Rai 3 non ineccepibile ma comunque meglio del rustico e a tratti amatoriale pacchetto pugliese) e il ritorno degli ospiti internazionali (Skunk Anansie, i Calexico che accompagnano Capossela e gli Asian Dub Foundation). Ma il format, nell'uno come nell'altro caso, non cambia molto. E appare terribilmente datato, come tutto l'armamentario luogo-comunista su cui Elio e le Storie Tese qualche anno fa ironizzarono magnificamente in «Complesso del primo maggio».

Capossela va a Sud con i Calexico
Partiamo da Roma, dalla 26esima edizione del concertone sindacale dedicata alla memoria di Giulio Regeni («Vive in tutti noi», si dice dal palco) salutata, secondo gli organizzatori, da 800mila spettatori. Conduzione affidata a Luca Barbarossa e La Mario. Il primo, con Radio 2 Social Club nel curriculum, è ormai una vecchia volpe dell'entertainment ma qualche scivolone pure capita, come quando durante l'esibizione dei Modena City Ramblers (che stanno al primo maggio come Michael Bublé al Natale) confonde «Fischia il vento» con «Bella ciao». Abbastanza a suo agio La Mario, senza dubbio più duttile di altre conduttrici delle passate edizioni. Il meglio della serata sta nell'improbabile team up Southern tra Vinicio Capossela e gli americani Calexico che si sono trovati a prestare lapsteel e fiati a «Canzoni della cupa» come «Femmine», «La padrona mia» e «Franceschina la calitrana», prima di buttarla meravigliosamente in caciara con l'«Internazionale socialista». Qualche sbavatura nel live act degli headliner Skunk Anansie: Skin non doveva essere in giornata di grazia, se alla voce meno graffiante del solito sommiamo l'esitazione nell'attacco di «Love someone else». Poi arriva «Hedonism» e uno dimentica tutto quello che deve dimenticare.

I «tagli» a Marlene Kuntz e Asian Dub Foundation
La regia ha tagliato le scalette dei cantanti con troppa disinvoltura: i Marlene Kuntz non hanno gradito e hanno sbottato sul loro profilo Facebook. Per farsi perdonare gli organizzatori li hanno già invitati all'edizione 2017. Chissà se accetteranno. In ogni caso sono in buona compagnia: caso analogo è capitato anche nel corso dell'esibizione degli Asian Dub Foundation, poco prima che eseguissero «Flyover». Si segnalano quindi un Gary Dourdan protagonista di un superbo duetto con Nina Zilli su «Someone told me», l'irresistibile l'omaggio di Peppe Barra a Giorgio Gaber con la versione napoletana de «Lo shampoo» e sempre il efficace Enzo Avitabile che mette le mani «'Ncopp' ‘o groove». Per tutte le altre esibizioni (o quasi) potremmo prendere la recensione di una qualsiasi delle passate edizioni e fare copia e incolla.

A Taranto vince la politica
Non si sottrae all'effetto déjà vu la kermesse di Taranto. Nel concertone della città dell'Ilva la politica sopra e sotto il palco battuto dalla pioggia è ancora più presente: che si tratti di un discorso di Michele Riondino, l'attore che insieme con Roy Paci contribuisce a organizzare l'evento, o della testimonianza di una delle innumerevoli associazioni ospiti. Si parla moltissimo lungo tutta la giornata, i tagli della regia alle esibizioni per chi segue il concerto in Tv sono ancora più impertinenti, il pomeriggio è terreno esclusivo di artisti emergenti (interessante il piano solo di Giovanni Truppi, ormai una sicurezza Renzo Rubino). Scende la sera ed è il turno degli artisti più noti, tra un Niccolò Fabi che in unplugged sentenzia «Ha perso la città», un Daniele Silvestri che rispolvera la solita «Cohiba» (proprio mentre il loro compagno di avventura nel «Padrone della Festa» Max Gazzé a Roma eseguiva «Sotto casa» con un figurante vestito da cardinale transgender), i Litfiba che scomunicano le mafie con «Dimmi il nome» e gli Afterhours che trovano in Salento una succursale della loro «Padania». Nulla di nuovo sotto il sole. La chiusa la scippiamo allora ancora una volta agli Elii: «Il primo maggio è fatto di gioia, ma anche di noia».

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