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Gdf e Dia: da Firenze a Reggio tornano i conti con criminalità e ‘ndrangheta

Gira che ti rigira, sempre con la ‘ndrangheta, direttamente o indirettamente, bisogna fare i conti quando si analizzano le misure patrimoniali antimafia.
Nello stesso giorno, il 3 maggio, è accaduto due volte.
La prima quando gli uomini del Comando provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria, agli ordini del colonnello Alessandro Barbera, con il coordinamento della Procura, guidata da Federico Cafiero De Raho, hanno proceduto nei confronti di appartenenti alla cosca Fontana, del quartiere reggino di Archi.

Sottratto l'intero patrimonio aziendale di riconducibile a Giovanni Fontana (imprenditore reggino e ritenuto da investigatori e inquirenti capo dell'omonima cosca) e ai suoi figli Antonino, Francesco Carmelo, Giuseppe Carmelo e Giandomenico, tutti attualmente reclusi per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori aggravato dalle finalità mafiose.

Un patrimonio composto da cinque imprese, 14 fabbricati, 20 terreni, 43 automezzi nonché diversi rapporti finanziari, per un valore complessivo stimato in circa 27 milioni di euro.
Il provvedimento è l'epilogo dell'attività investigativa del Nucleo di polizia tributaria - Gico di Reggio Calabria, che ha permesso di accertare un'ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato e il patrimonio a disposizione, direttamente o indirettamente, di Giovanni Fontana e dei suoi familiari. Sono state, inoltre, valorizzate le risultanze investigative delle operazioni “Olimpia” e “Athena” coordinate dalla Dda, che hanno consentito di accertare la continuità tra il passato e il presente della cosca Fontana e la sua operatività, con una posizione dominante di Giovanni Fontana.

Il suo elevato spessore criminale è, tra l'altro, testimoniato dalla partecipazione a gruppi organizzati di stampo mafioso e dal Ruolo e dalla militanza tra le file del cosiddetto “gruppo separatista” che sconvolse Reggio Calabria negli anni 1985/1991 (cosiddetta “seconda guerra di mafia”).
Sulla base di questi elementi e alla luce della ricostruzione economico-finanziaria svolta dalla Gdf, il Tribunale di Reggio Calabria ha qualificato le imprese sottratte alla famiglia Fontana come rientranti nel genus dell'«impresa mafiosa» in quanto, in relazione alle stesse, «sussistono plurimi e convergenti elementi di fatto che consentono di sostenere che le società, a prescindere dalla provenienza delle risorse genetiche, che tuttavia nel caso in esame deve escludersi, si siano progressivamente ampliate e siano cresciute fino a diventare la realtà economica fotografata nelle indagini solo grazie alla personale attività dei proposti che sono così riusciti ad ottenere la stipula di contratti e aggiudicazioni del tutto al di fuori delle libere logiche concorrenziali attraverso lo sfruttamento delle proprie conoscenze».

E' stata anche applicata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza a Giovanni Fontana (5 anni) e ai figli Antonino (4), Francesco Carmelo, Giuseppe Carmelo e Giandomenico (3).
Lo stesso giorno il Centro operativo Dia di Firenze, guidato da Nicola Franco, al termine di complesse indagini disposte dal direttore della Dia Nunzio Ferla, ha dato esecuzione ad una misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un pregiudicato calabrese.
Quest'ultimo è stato, in passato, condannato per aver acquistato sostanze stupefacenti da soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta (ed è per questo che, anche in questo caso, bisogna farci i conti nelle analisi delle misure patrimoniali anche se è bene ribadire che il pregiudicato non ha alcun tipo di coinvolgimento con la 'ndrangheta) e precisamente alla ‘ndrina degli “Arcoti” de quartiere Archi di Reggio Calabria.
La Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Firenze, ha reso noto la Dia, ha dunque «disposto il sequestro e la confisca di tre unità immobiliari, un appartamento di pregio e due locali di tipo commerciale», che ospitano due noti ristoranti del centro di Firenze. Il valore è di circa due milioni.

Il pregiudicato, dopo la commissione dei reati per i quali è stato condannato e che gli hanno permesso di conseguire guadagni consistenti illeciti, é “scomparso” sul piano fiscale, cessando di presentare le dichiarazioni dei redditi e ha posto in essere atti volti a spogliare, solo apparentemente, l'intero nucleo familiare di tutti i beni ad esso riferibili.

r.galullo@ilsole24ore.com

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