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«Flessibilità, passi avanti ma non basta»

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«Flessibilità, passi avanti ma non basta»

  • –Emilia Patta

Firenze

«Nel 2014 la parola chiave dello State of the Union, la prima edizione a cui ho partecipato da premier, era flessibilità. Allora dissi che il fiscal compact e le regole di bilancio troppo rigide erano un drammatico errore, e applicarle in quel modo avrebbe portato l’Europa al disastro economico e sociale. La flessibilità è stata poi al centro del nostro semestre di guida dell’Unione europea. Ebbene, nel gennaio del 2015 è arrivata la Comunicazione sulla flessibilità della nuova Commissione europea guidata da Jean-Claude Juncker. Per noi è sempre troppo poco, ma è già un passo in avanti». Flessibilità di cui l’Italia ha usufruito anche nella Legge di stabilità di quest’anno per un valore intorno all’1% del Pil (16 miliardi), e la Commissione darà il suo giudizio finale il prossimo 18 maggio. Informalmente sono già state accordate le clausole di flessibilità richieste dall’Italia sulle riforme e sugli investimenti, mentre resta fuori lo 0,2% (3,5 miliardi) chiesto per lo sforzo fatto dal nostro Paese nell’accogliere i migranti. Negli incontri di questi giorni a Roma, soprattutto in quello con Juncker, è possibile che il tema sia stato sfiorato, anche se quella romana non era la sede adatta. E le parole del presidente della Commissione, che ha ribadito in un’intervista televisiva che all’Italia sarà accordata tutta la flessibilità «possibile», sembrano forse aprire qualche varco. Ma al di là dei 3,5 miliardi in questione, Renzi può dirsi soddisfatto di aver contribuito a portare il tema della crescita e degli investimenti in primo piano nell’Unione, se anche Angela Merkel nella conferenza stampa congiunta di giovedì a Palazzo Chigi ha detto che prima deve arrivare la crescita e poi sarà più semplice affrontare il problema del debito.

Ma questi due giorni interamente dedicati all’Europa tra Roma e Firenze, dove Renzi ha chiuso l’edizione 2016 dello State of the Union organizzato ogni anno dall’Istituto universitario europeo, hanno senz’altro il segno dell’immigrazione. Con Merkel e Juncker («Proposta italiana nella giusta direzione») che hanno pubblicamente apprezzato il contributo italiano sull’Africa (il Migration Compact), sia pure con la distinzione della Cancelliera sugli eurobond come strumento per finanziare lo sforzo condiviso sull’immigrazione. E il 2015 Renzi lo vuole dedicare proprio all’immigrazione. «Adesso tutta l’Europa discute di immigrazione, ma solo un anno fa eravamo praticamente soli, con il primo ministro maltese Joseph Muscat, a dire che il problema migranti non riguardava solo alcuni Paesi ma tutta l’Unione». Con la recente proposta della Commissione Ue sulla ripartizione degli oneri, pena sanzioni, si è di fatto superato il Trattato di Lisbona quando solo un anno fa era impensabile, sottolinea Renzi. Che ne approfitta anche per gettare qualche ombra, alla luce delle ultime dichiarazioni e iniziative antieuropee di Erdogan, sull’accordo (fortemente voluto dalla Germania) stretto con la Turchia sui migranti: «Non può essere la sola soluzione», dice usando quasi le stesse parole del ministro degli Esteri russo (si veda pagina 7). L’Italia, con il suo Migration Compact, guarda soprattutto all’Africa, in particolare quella subsahariana, terra di emigrazione e dove il terrorismo estremista trova terreno fertile, ma anche continente sul quale «scommettere non solo perché è etico, ma perché è utile». E «se noi diciamo di aiutarli a casa loro, allora è evidente che non possiamo tagliare sulla cooperazione internazionale».

Con uno sguardo largo, Renzi si preoccupa infine di recuperare «la cultura come elemento di identità europea». Ed è appunto la cultura, per il premier, il tema del 2016. Cita Barak Obama, che nei suoi recenti giorni europei ha ricordato l’importanza dell’identità dell’Europa «terra di libertà»: «È lui che ci ha ricordato chi siamo, come se avesse tirato fuori la nostra carta di identità che avevamo smarrito».

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