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Effetto tassi-zero sulle trimestrali

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Effetto tassi-zero sulle trimestrali

  • –Vittorio Carlini

Vivere in un mondo di tassi a zero (se non negativi). Per alcuni business un’esperienza difficile. Per altri un’opportunità più «piacevole». Dipende, ovviamente, dal tipo d’attività. Quella, ad esempio degli istituti di credito, soffre i bassi margini. Al contrario, le società industriali possono trarne vantaggio.

Due angoli visuali insomma. I quali, però, sono uniti da un ragionamento di fondo: la politica ultraespansiva della Bce, che nei fatti ha salvato l’euro e tenta il rilancio dell’economia europea, deve durare il giusto. Tirandola troppo per le lunghe il rischio è che ai benefici si facciano prevalere le distorsioni .

Già, le distorsioni. Rispetto ai conti aziendali, in particolare sul primo trimestre del 2016, i numeri le mostrano in diversi casi. Così è, ad esempio, per le banche. Queste, tra le voci che costituiscono i ricavi, comprendono il cosiddetto margine d’interesse. Si tratta della differenza tra gli interessi incassati sugli attivi fruttiferi e quelli passivi pagati sui denari raccolti dalla banca stessa.

Ebbene, più bassi sono i saggi di mercato è più difficile sarà sfruttare questa leva. Certo, rilevano le singole politiche sul costo del funding e gli impieghi. Inoltre, ogni istituto è storia a sé. Ciò detto diverse banche hanno indicato, a fine marzo scorso, un margine d’interesse in calo rispetto all’anno precedente: da Mps, che però ha riportato utili oltre le attese, fino a Commerzbank che esplicitamente richiama il problema indicato nel business con le Pmi.

Ma non è solo questione di margine d’interesse. I tassi a zero, in un contesto dove spesso la causa si confonde con l’effetto, «caratterizzano - indica Luca Barillaro - un mondo in cui la volatilità aumenta sempre di più». Il che, da un lato, allontana gli investitori/operatori e, dall’altro, «impatta i ricavi stessi delle banche». Così non stupisce più di tanto che Ubs o Deutsche Bank richiamino nell’ultima trimestrale il difficile contesto di mercato per giustificare il calo del business.

Quel business che, in generale, il consensus si attende caratterizzato da una redditività inferiore rispetto al primo quarter del 2015. Secondo Thomson Reuters, infatti, il settore finanziario europeo dello Stoxx 600, a fine marzo scorso, dovrebbe vedere un calo degli utili del 14%. I ricavi, dal canto loro, sono stimati in ribasso dell’11%. La dinamica, peraltro, si giustifica anche considerando le assicurazioni. In tal senso, ad esempio, può pensarsi ai prodotti a minimo reddito garantito. Le compagnie, su questo fronte, devono fare coincidere il ritorno delle proprie attività con l’attualizzazione delle spese previste sulle polizze. Nel momento in cui gli asset in cui investono rendono niente, oppure hanno il tasso negativo, è ovvio che si pone un problema.

Fin qui alcune indicazioni rispetto al mondo di assicurazioni e banche: quale però gli effetti su altri comparti di Borsa? Un primo sguardo può darsi agli industriali.

In questo settore gli effetti collaterali sono diversificati. «In primis - spiega Alfonso Maglio, portfolio manager di Marzotto Sim - le imprese hanno il beneficio del calo del costo debito». Non sono poche, in tal senso, le società che hanno rifinanziato il proprio indebitamento a tassi più favorevoli. Una condizione che, giocoforza, libera risorse da investire in azienda (oppure per remunerare l’azionista). E non solo. I tassi a zero riducono anche gli oneri finanziari. Una dinamica quest’ultima che, a livello contabile, permette di “trasformare” in utile netto una maggiore parte di reddito operativo. Certo, la finanza aziendale può avere diversi impatti a seconda di come viene gestita. Tuttavia: sempre di minori costi si tratta. Quindi la redditività della società dovrebbe trarne beneficio. Ed è proprio quello che le stime di Thomson Reuters prospettano: a fronte di ricavi stimati fermi (-1%) l’utile trimestrale dell’industry dovrebbe più che raddoppiare. Un duplice andamento che si giustifica solamente con il taglio dei costi (tra cui quelli finanziari).

Oltre agli aspetti contabili c’è, però, un ulteriore possibile effetto legato alla politica dei tassi zero della Bce: l’aumento delle operazioni di M&A . In particolare sulle Pmi in Italia. «La presenza della Banca centrale quale acquirente anche di corporate bond - spiega Guglielmo Manetti, Vice direttore generale di Intermonte Advisory - ha “agevolato” il finanziamento delle aziende attraverso questo canale». Il calo dei rendimenti su simili emissioni, unito al costo zero del denaro, di fatto crea le condizioni per poter aumentare la leva finanziaria e, quindi, spingere l’M&A. In questo modo le società “comprano” margine operativo lordo che, peraltro, con il descritto calo degli oneri finanziari, può trasformarsi più facilmente in utile netto.

Tutto rose e fiori, quindi? Non proprio. Al di là del tema di come investire la liquidità, le aziende devono affrontare la volatilità dei cambi. La strategia della Bce, va detto, ha dato una grossa mano all’export di Eurolandia. Adesso però, anche fronte dell’approccio soft della Fed, non si prevede l’ulteriore forte calo della moneta unica. Bensì, un suo andamento erratico. Sbagliare le coperture, quindi, può impattare i conti aziendali. Quei bilanci aziendali rispetto ai quali, sull’intero Stoxx600, è attualmente previsto un calo dei profitti dell’11,2%. Più del doppio, cioè, che in quel di Wall Street (-5,4%). Anche questo è il mondo dei tassi a zero.

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