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Un curriculum troppo perfetto. Per trovare lavoro servono anche gli…

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I TeST DEL SOLE

Un curriculum troppo perfetto. Per trovare lavoro servono anche gli insuccessi?

(olycom)
(olycom)

In tempi di scarsa richiesta di lavoro e di dittatura del successo è legittimo domandarsi se nelle poche occasioni a disposizione serva presentare un curriculum corredato solo di esiti positivi oppure anche di insuccessi.

Al riguardo può essere utile il caso di un professore universitario che di recente ha ottenuto la cattedra di psicologia e neurobiologia all'Università di Princeton con una modalità inedita di candidatura: pubblicare sul suo account di Twitter il curriculum vitae dei propri fallimenti. Per Joannes Haushofer dichiarare ed elencare la sfilza di progetti mai realizzati, i premi sfumati, gli avanzamenti di carriera accademica non ottenuti come pure i finanziamenti e gli articoli inviati ma non pubblicati dalle riviste scientifiche alla fine dei conti ne è valsa la pena. Proprio perché dai fallimenti, secondo lui, si sono poste le basi di un successo insperato e inaspettato dopo anni di estenuanti tentativi.

Dal giovane docente arriva un'importante ammissione che “fallisco nella gran parte dei tentativi come la maggior parte dei miei colleghi solo che questi ultimi rendono invisibili i propri flop”.
Già i “Flop” come il titolo di un libro del filosofo Enzesberger secondo cui rivelarli è salutare oltre che divertente perché poco importa fallire se costituisce un'esperienza propedeutica a farcela: ossia sbagliando si impara.

Certo si potrà obiettare che nella battaglia per il successo “uno su mille ce la fa”e che quel qualcuno fa notizia e può dichiarare gli insuccessi conseguiti solo quando ce l'ha fatta, non prima. Se prendiamo il caso di molti a cui anche “gli insuccessi hanno dato alla testa”, per dirla con Ennio Flaiano che disse con ironia, dopo uno dei più grandi fiaschi teatrali, quello di “Un marziano a Roma”: non si può definire che salutare un bagno di umiltà anziché un delirio di onnipotenza.

Poi sarà pure una strategia di marketing vincente quella di metterci la faccia sui successi, come fanno i politici e non solo, e non sugli insuccessi che come disse ancora Flaiano sono sempre “orfani”, tuttavia è un segnale ed esempio incoraggiante quello del docente di Princeton. Perché è sempre preferibile un curriculum veritiero ad uno menzognero che poi quando si scopre il bluff sono guai, vuoi perché dichiari il falso o perché alla prova dei fatti non sei capace.

In questi anni di dittatura del successo molti si sono adeguati e allineati gonfiando ad arte il proprio curriculum dimenticando, ad esempio, che un genio assoluto come Leonardo da Vinci rese noti gli insuccessi preliminari e non di una sua grande sfida: lo studio del volo umano alla base dell'odierna aviazione.

Insomma serve volare bassi anche perché a volare alti si bruciano le ali di cera, come accade nel mito a Icaro arrivato ai limiti del sole, con tonfo conseguente. In ogni caso da un flop, che alla lettera vuol dire solo“tonfo” e solo a livello di metafora significa “fiasco” “insuccesso”, ci si può rialzare.

Senza arrivare a condividere l'esito estremo di Samuel Beckett quando dice: ”Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio”. Se ne può però condividere l'esito intermedio ossia che dai tentativi esce il capolavoro.

Se si punta frettolosamente e impazientemente al successo non c'è margine per il fallimento, specie di questi tempi, che non andrebbe inteso come una bocciatura definitiva ma solo un primo tentativo andato male.

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