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Pensioni, con la flessibilità in uscita spunta l'adesione…

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PREVIDENZA

Pensioni, con la flessibilità in uscita spunta l'adesione «semi obbligatoria» ai fondi pensione. Sei d'accordo?

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Si riapre il cantiere della riforma pensionistica per rendere più flessibile l'età di uscita dal mondo del lavoro e “correggere” la Monti-Fornero. E contestualmente rafforzare le tutele per i lavoratori che vanno incontro a redditi pensionistici sempre più bassi. Inevitabile, quindi, incentivare in vario modo la previdenza complementare.

Il Governo conta di inserire queste misure nella legge di Stabilità; ma le frecce di cui dispone non sono molte e non tutte davvero appuntite: si parla di permettere di destinare solo una parte di Tfr ai fondi pensione, o di aumentare la deducibilità dei contributi o anche di ridurre le aliquote fiscali che gravano sui rendimenti annui e sulle prestazioni. Si tratterà di capire se l'equilibrio tra queste misure renderà davvero incentivante l'adesione alla previdenza complementare, più di ora, quanto meno.

Da non escludere che nel pacchetto potrebbe essere prevista una qualche forma di adesione obbligatoria alla previdenza complementare. Il tema è scottante e mette in gioco una serie di meccanismi culturali e psicologici importanti: razionalmente la proposta non fa una piega, perché si inducono i lavoratori a risparmiare in modo coerente per coprirsi da una vecchiaia indigente con uno strumento specifico; dall'altra parte le forme di assicurazione “coercitive” – si pensi all'Rcauto –vengono talvolta vissute come delle imposizioni dai risparmiatori. Il tema - è appena il caso di sottolinearlo – riguarda solo il secondo pilastro pensionistico: l'assicurazione generale obbligatoria (Ago), in quanto tale, non ha margini di flessibilità, anche perché nel nostro sistema, che è a ripartizione, i contributi dei lavoratori servono per pagare le pensioni in essere.

Ma l'ipotesi che i fondi pensione di secondo pilastro siano in qualche forma obbligatori è davvero un tabù?

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Facciamo un passo indietro. Forse non tutti sanno che proprio l'assicurazione generale obbligatoria (A.g.o.) è tale solo dal 1° settembre 1950: prima lo era solo per chi percepiva uno stipendio sotto un certo livello, gli altri erano liberi di assicurare o no la propria vecchiaia con lo Stato. Si potrebbe fare qualcosa del genere anche per la previdenza complementare? Ipotizziamo che si possa dire no all'adesione forzosa ai fondi pensione, rinunciando però a forme di maggiorazione della pensione minima. Attualmente ne beneficiano 5 milioni di pensionati (3,7 milioni di integrazioni al minimo, oltre a un altro milione di assegni sociali e pensioni di guerra). Oppure dimostrando di poterne fare a meno, quando si sarà anziani. Già, come si fa a sapere che non ne avremo bisogno? È però la stessa domanda che pone chi ritiene l'adesione alla previdenza complementare indispensabile: può un dipendente pubblico 35enne, nella migliore delle ipotesi, incassare una pensione pari al 50% dell'ultimo stipendio? E rinunciare a un pilastro che grazie all'effetto capitalizzazione dei rendimenti composti si è rivelato negli ultimi 18 anni in grado di offrire rendimenti molto superiori a quelli di primo pilastro, oltre che del Tfr? Il silenzio-assenso è già in vigore, si tratta di inventarsi qualcosa di più. Da qui alla Stabilità se ne parlerà ancora. E voi cosa ne pensate? Scegliete l'opzione che ritenete più corretta.

Twitter: @loconte63

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