Apportare un patrimonio immobiliare in un fondo, a un prezzo molto basso, inferiore al suo vero valore, per poi valorizzarlo e non avere l’assillo della tassazione non era un brutto affare. E per alcuni anni è stata la strada consigliata alle famiglie che avevano cespiti da valorizzare, per sfruttare i benefici fiscali. Adesso, però, il contesto è cambiato.
Fino all’estate del 2008, coni prezzi degli immobili che salivano senza soste e una tassazione molto favorevole, i fondi immobiliari “familiari” hanno avuto un grande successo e molti operatori, anche piccoli, hanno costituito Sgr specializzate per offrire la loro expertise fiutando il business. Ma nel triennio successivo c’è stata un’escalation di interventi di inasprimento fiscale che ha rallentato, fino quasi ad azzerare, la nascita di nuovi fondi legati a logiche prettamente speculative o di risparmio familiare, complice anche la persistente crisi del settore. Lo scenario è drasticamente cambiato e nonostante i prezzi degli immobili siano scesi in misura significativa le famiglie hanno portato a termine meno acquisti di immobili: viene quindi meno anche lo spunto iniziale per questa tipologia di prodotti.
In parallelo la parte fiscale è decisamente meno attraente. La tassazione dei proventi, con due ritocchi nel giro di pochi anni, è stata portata al 26% e per i privati vigono le regole di tassazione dei guadagni previste per i classici fondi comuni di investimento. Prima la convenienza era più marcata anche perché l’aliquota che si applicava solo al momento della distribuzione dei proventi era del 12,5% e permetteva di reinvestire la totalità degli utili conseguiti nel tempo in altre operazioni immobiliari. Al contrario un’impresa, con l’approvazione del bilancio annuale paga via via le tasse per competenza nell’ordine del 30-40%.
Chi è alla ricerca di enormi sconti fiscali oggi deve guardare altrove. Solo per patrimoni immobiliari superiori ai 50 milioni di euro potrebbero esserci ancora margini interessanti da cogliere con i fondi immobiliari. Anche perché occorre considerare i costi: difficilmente la gestione di un fondo può costare meno di 100/150mila euro. Oneri che rapportati a un investimento di 15 milioni equivalgono a un costo dell'1% annuo. E in presenza di prezzi stabili e bassa redditività, la gestione di un patrimonio immobiliare di minori dimensioni da parte di una Sgr è inefficiente.
In più con il fiato sul collo delle authority di vigilanza, oggi più che in passato la gestione deve essere svolta dalla Sgr in autonomia. Ma le famiglie che apportano gli immobili nel fondo non sono sempre convinti di delegare in toto la gestione alla Sgr e per questo erano stati creati comitati di controllo (advisory board) che in passato avevano un potere molto forte nell’influenzare le scelte. In alcuni casi la gestione era effettuata dai componenti della famiglia e la Sgr era una sorta di “società di servizio”. Un’apparenza molto diversa dalla sostanza che oggi non è più tollerata.
Di fatto chi apportava i beni voleva gestire gli immobili o le attività di sviluppo e, peraltro, quando gli affari non sono più andati bene molte famiglie hanno dato la colpa alla Sgr accusandola di gestire male il loro patrimonio con una paradossale conseguenza perché per la Sgr era difficile difendersi: se ammetteva l’etero-gestione violava la norma sull’indipendenza, se invece si assumeva le responsabilità doveva risarcire i danni. Questo spiega perché le piccole Sgr stanno scomparendo dal mercato e sopravvivono solo le grandi che fanno fondi di dimensioni elevate per investitori istituzionali.
La “scatola” del fondo immobiliare rappresenta, quindi, il passato e non risolve più i problemi di chi ha cespiti da vendere o valorizzare. Anche perché c’è da considerare che oggi più di ieri è difficile trovare un accordo sul valore del sottostante da apportare che sia un castello, un palazzo a reddito o un terreno da sviluppare.
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