Economia

Dossier Quando l’arte diventa liquida

  • Abbonati
  • Accedi
    Dossier | N. 8 articoliRapporto Private Banking

    Quando l’arte diventa liquida

    A esplorare la possibilità di rendere liquida l’arte ci hanno pensato in molti, professionisti dell’arte, collezionisti, banche e investitori. In quanto asset immateriale e intangibile, il suo valore è principalmente simbolico, tuttavia è capace di creare diverse tipologie di valore immateriali (conoscenza e molti altri) e materiali quando arriva sul mercato trasformandosi in moneta sonante, come bene aveva intuito Andy Warhol rappresentando il dollaro e affermando: «Making money is art and working is art and good business is the best art». Ma qual è la catena del valore per l’arte?

    Il mercato ha, tra le sue funzioni, quella di convertire il capitale culturale ed estetico di un bene intangibile come l’arte in un bene dal valore fungibile. In questo processo – definito dagli studi «art value chain» –, sono coinvolti molti attori, in particolare del mondo dell’arte del dopoguerra e contemporanea. Negli ultimi dieci anni coloro che hanno imboccato questo percorso non hanno esitato ad adoperare anche strumenti finanziari capaci di estrarre “a leva” valore dall’arte.

    Come si crea valore da un bene intangibile come l’opera d’arte? Nella fase iniziale il percorso di valorizzazione per l’artista è tutto in salita, ma quando il prestigio è già riconosciuto (i cosiddetti blue-chip work), come si accresce ulteriormente?

    Prima di tutto sul mercato vedendo al momento giusto e al miglior prezzo: la repeat sale in asta più frequenti nell’ultimo anno (259 pari al 15,6% delle opere scambiate a partire da 1,65 milione dollari secondo la Skate's Top 10.000) hanno registrato un possesso in media di nove anni (tempo non speculativo) e un ritorno annuo medio ponderato sull’investimento iniziale del 4,86% (annualized effective rate of return - ERR - che riflette rendimenti effettivi annui ottenuti dagli investimenti in beni d’arte, al netto delle commissioni d’asta e prima delle rettifiche nette di Iva, tasse personali e costi di gestione, non corretti per l’inflazione).Qualche esempio? «Les femmes d’Alger (Version 'O')» ha registrato un Err del 9,55%, addirittura del 34,3% «Swamped» di Peter Doig.

    Ma a parte la rivalutazione in sede di vendita dopo un periodo congruo in portafoglio, ci sono altri modi per rendere liquida un’opera?

    La catena del valore spesso passa dalle mostre temporanee in importanti musei prima di arrivare in asta e, talvolta, realizza il suo obiettivo addirittura in corso di esposizione, violando qualche regola etica. Tant’è che alcuni musei richiedono ai collezionisti per il prestito dell’opera almeno un anno di «resting period» cioè “periodo di riposo” clausola contrattuale che se fosse applicata da tutti i musei non creerebbe turbative d’asta. Ecco un esempio: «Les Chasseurs au Bord de la Nuit», 1928 di René Magritte fu venduto da Christie's a Londra nel 2012 per 6,6 milioni di sterline solo poche settimane dopo che il lavoro era stato esposto al MoMA di New York nella mostra «Magritte: The Mystery of the Ordinary, 1926-1938», conclusa nel gennaio 2013. Prima di questa vendita, solo altre tre opere di Magritte avevano segnato prezzi superiori. Gli specialisti delle case d’aste dichiarano di non consigliare ai venditori di “sfruttare” il museo per promuovere le opere prima del passaggio in asta, ma tuttavia concedere un prestito è talvolta l’anticamera per gli aspiranti venditori. Gli esperti ipotizzano un incremento del 20% del valore . Ma sono le case d’asta oggi a premere sull’accelerazione della finanziarizzazione: negli ultimi tre anni hanno effettuato un maggior ricorso alle garanzie, che si è riflesso quasi sempre in un utilizzo sempre più aggressivo del leverage, cioè della leva finanziaria concordando con il venditore il prezzo e garantendo la vendita, pur di accaparrarsi l’opera, prezzo che non sempre il mercato riconosce. Così l’opera se non viene aggiudicata in asta è comunque acquistata dalla casa d’asta o da terze parti. L’operazione oggi comporta un costo finanziario sostenibile con i tassi bassi, ma è incorporato un rischio che punta su una tendenza al rialzo dei prezzi delle opere di fascia elevata.

    Talvolta l’arte rappresenta una commodity il cui valore è utilizzato per qualsiasi tipo di operazione dalla richiesta di un finanziamento al regolamento di una causa di divorzio: con l’art loan l’opera diventa un collateral di un finanziamento; la domanda è in crescita, poche banche lo offrono in Italia, molto più facile richiederlo a istituti specializzati o alle grandi banche americane. Di solito il prestito è pari al 50% del valore dell'opera o della collezione, la durata può andare da sei mesi a sette anni, per un ammontare di 1 milione di dollari.

    Infine, per alcuni artisti l’arte diventa la chiave per aprire poi una azienda di mass-market attraverso la quale vendere oggetti con il proprio marchio: si pensi alla Kaikai Kiki Co. di Murakami per la produzione di gadget o t-shirt, caramelle e borse Louis Vuitton. Infine ci sono società che offrono l’opera in leasing per arredare palazzi prestigiosi.

    © Riproduzione riservata