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Il difficile mestiere di sindaco

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L’analisi

Il difficile mestiere di sindaco

«Cinque anni di solitudine»: così Roberto Balzani ha intitolato il libretto che raccoglie le sue riflessioni sull’esperienza di sindaco di Forlì dal 2009 al 2014. Balzani, professore ordinario all’università di Bologna, non ha poi voluto accettare un secondo mandato. La sua vicenda può essere considerata emblematica della «fatica» in molti sensi che comporta oggi l’assunzione di una carica molto onerosa e assai poco appagante come è quella eufemisticamente denominata di «primo cittadino».

La riflessione torna in prima pagina nel momento in cui varie vicende di cronaca riportano all’attenzione la complessità di questo ruolo. Senza generalizzare, che è sempre sbagliato,oggi la carica di sindaco può essere una specie di calvario che attira poco chi può starne lontano. La mitica società civile è poco propensa a cacciarsi nei pasticci che comporta un ruolo pieno di responsabilità, esposto a tutte le critiche e pochissimo sostenuto da un contesto sia a livello politico che burocratico.

Per un cittadino che non sia in qualche modo interessato a fare il politico di professione, il disincentivo comincia già dalla designazione che nella maggioranza dei casi passa per il meccanismo delle primarie. Sono consultazioni difficilissime, dominate per lo più dai meccanismi delle faide interne ai partiti e ai gruppi di potere. Un passaggio in cui non si hanno garanzie e che già sottopone al logoramento di analisi impietose (e passi), ma molto spesso strumentalmente infamanti della propria persona e del proprio lavoro.

Anche quando miracolosamente un temerario superi questo primo scoglio (così fu nel citato caso di Balzani che vinse nonostante avesse contro la nomenklatura del Pd locale), e riesca a superare la prova delle urne (ardua perché è un’elezione personale con ballottaggio quasi scontato), inizia un lavoro difficilissimo. Sui comuni gravano problemi di tutti i generi, praticamente sempre con risorse scarse anche quando non ci si trovi, ed è caso frequente, a doversi caricare sulle spalle i lasciti onerosi di quanto si è speso allegramente negli anni delle vacche grasse.

I cittadini guardano ovviamente al loro sindaco come responsabile di tutto e lui, vuoi che abbia il problema di fare un secondo mandato, vuoi che comunque debba costruirsi una posizione per il «dopo», ha poco interesse a lasciare spazi di visibilità alla sua squadra di governo, in cui, fra il resto, non mancano mai quelli che sgomitano per portargli via la scena. Peraltro la sua necessità di presentarsi sempre come colui che risolve deve fare i conti con un contesto di leggi, leggine, regolamenti che sono davvero come i famosi «lacci e lacciuoli» di cui parlava per altri profili Guido Carli. Ormai qualsiasi concorso pubblico, qualsiasi appalto, qualsiasi delibera è uno slalom fra bucce di banana e chiazze d’olio tanto è facile trovare appigli per portare tutto davanti ad un qualche tribunale, penale o amministrativo che sia.

Intanto però il sindaco deve decidere, altrimenti viene subito messo in croce come inefficiente, accusa che oggi può distruggere qualsiasi politico. Gli servirebbe naturalmente poter contare su un apparato amministrativo di grande competenza e incisività, ma non è così scontato che lo abbia a disposizione. In molti contesti, senza pensare qui ai casi eclatanti di malaffare, la struttura burocratica è appesantita da anni di sistemi di assunzioni sostanzialmente clientelari e nei vertici sconta spesso la scarsa attrattività per personale molto qualificato a fronte di trattamenti economici non sempre adeguati. Per completezza va aggiunto che in non pochissimi casi questa considerazione ha portato a miglioramenti economici, ma è servita non per avere nuovo personale di alta qualificazione, ma per far remunerare personale entrato con le routine di cui abbiamo detto e che ha fatto scalate di posizioni piuttosto «interne» come se fosse di alta qualificazione.

In un contesto del genere il sindaco finisce per essere ostaggio della macchina comunale che certo non può personalmente controllare in tutta la sua estensione (nelle città grandi si tratta di migliaia di dipendenti). Anche in questo caso non è solo questione di contenere le deviazioni che pure ci sono (Roma docet!, ma non è il solo caso), ma più semplicemente di avere a disposizione chi può cooperare a costruire un sistema di intervento che deve coniugare, trasparenza, legalità ed efficienza (quasi la quadratura del cerchio).

Se si fa mente locale su questo quadro non è difficile capire perché Cacciari in una intervista di ieri ha dichiarato che «bisogna essere dei pazzi» per voler fare i sindaci, o più prosaicamente inquadrare il fatto che le forze politiche trovano sempre più difficoltà a reclutare personalità rilevanti che accettino la sfida di questi ruoli.

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