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Allo studio il potenziamento dei minibond

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Allo studio il potenziamento dei minibond

ROMA

Nel decreto competitività potrebbe spuntare un capitolo sui mini-bond. Il lavoro che sta conducendo il ministero dell’Economia con il coordinamento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini sta toccando anche il tema delle obbligazioni emesse da società non quotate, un’innovazione che risale al 2012 ma che non è ancora pienamente decollata. Per stimolare questo mercato del credito alternativo al tradizionale flusso bancario si pensa di far leva sulla garanzia statale elevando da 1,5 milioni a 2,5 milioni l’importo massimo garantibile per singola azienda beneficiaria.

La concessione di garanzie del Fondo Pmi è stata estesa anche ai minibond nel novembre 2014, ma nonostante ciò da allora questo particolare tipo di obbligazioni è cresciuto probabilmente al di sotto delle aspettative iniziali. Considerando i minibond quotati sul mercato di borsa Extramot Pro, nel 2015 le emissioni di importo fino a 30 milioni da parte di società non quotate sono state 51, per 350 milioni totali. Un importo inferiore a quello del 2014, sebbene sia cresciuto il numero delle emissioni. Nel primo trimestre 2016, le emissioni sono state invece 16 per 102 milioni. Un’iniezione di vivacità, insomma, appare necessaria.

Anche i tecnici del governo si starebbero orientando in questa direzione, pur con qualche differenza di vedute ancora da chiarire. C’è infatti da decidere in modo definitivo se inserire la materia all’interno del decreto legge, associandola ad altri interventi mirati per i minibond e ad altre operazioni di lifting del Fondo di garanzia, o se si possa usare come strumento anche quello di un semplice decreto ministeriale.

I minibond a ogni modo contribuiscono a mettere al centro della scena del decreto competitività il tema della liquidità per le imprese, troppo dipendenti dal canale bancario in una congiuntura che vede ancora in discesa i prestiti alle imprese: -0,4% a febbraio e un ritmo di riduzione nel primo bimestre, secondo l’elaborazione del Centro studi Confindustria, che ha accelerato rispetto al 2015 (-0,1% al mese).

In quest’ottica, il cuore del decreto in preparazione resta la detassazione sul risparmio che si orienta verso piani di investimento a medio-lungo periodo in imprese di dimensioni comprese tra i 50 e 250-300 milioni di ricavi. Investimenti che dovranno essere finalizzati a supportare la crescita dimensionale delle imprese, la ricapitalizzazione delle società più strutturate e progetti di internazionalizzazione. L’operazione in questione potrebbe approdare, nell’ipotesi più generosa, ad azzerare il prelievo sui capital gain (attualmente al 26% mentre quello sulle rendite degli investimenti in titoli del debito pubblico è al 12,5% ) ma condizionando il beneficio ad alcune condizionalità. Tra queste una durata minima dell’investimento, probabilmente da fissare in un triennio.

Continuano poi le simulazioni dei tecnici del governo su una misura specifica per le startup. Un’ipotesi al vaglio - sebbene giudicata complicata da alcuni esperti del ministero dell’Economia - consiste in uno sgravio per le società quotate che acquisiscano una partecipazione (si pensa al 20%) in start up con non più di cinque anni di vita. La partecipazione, per godere del bonus, dovrebbe essere fiscalmente qualificata e vincolata anche in questo caso a un periodo minimo.

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