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Referendum, in cambio del sì stop all’abuso di decreti e…

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Politica

Referendum, in cambio del sì stop all’abuso di decreti e fiducia

  • –di Montesquieu

Votare sì oltre i meriti della riforma: basta fiducia, decretazione d’urgenza senza urgenza e deleghe senza princìpi. Si rinnovano di qui a poche settimane le più importanti amministrazioni comunali, ma la gerarchia delle consultazioni elettorali del 2016 pende sempre più decisamente dalla parte del referendum di ottobre sulla riforma costituzionale. L’importanza di una consultazione di popolo si lega direttamente agli effetti politici che produce: dietro un no a quella riforma si prospettano crisi di governo e conclusione forse traumatica della legislatura. Ma si profila anche la possibile e preannunciata interruzione precoce di una vicenda politica, quella di Matteo Renzi, che comunque non rimarrà confinata impersonalmente nel lungo e spesso anonimo elenco dei primi ministri dell’Italia repubblicana. Il dimenticabile “arco costituzionale”, formula all’apparenza non priva di una sua pretesa valenza istituzionale attesta un’adesione pressoché plebiscitaria delle forze politiche allo spirito ed alla legge della Costituzione del 1948 , raggelando il raffronto con lo stiracchiato sostegno politico tributato alla riforma del 2016. Della fragilità che esce da questo raffronto , dovrebbero – piacerebbe dire che “dovranno” -, farsi carico le forze politiche, soprattutto quelle di governo del paese e delle camere, ma anche quelli momentaneamente minoritarie.

Per chiarezza: mentre il rigetto della riforma apre scenari comunque gravi, come sopra indicato, la sua accettazione - ben oltre i meriti della riforma stessa - offre lo spazio di una reale trasformazione del procedimento legislativo in uso, principale punto di novità istituzionale del testo insieme al riequilibrio del rapporto tra parlamento ed esecutivo. Un equilibrio fin qui inutilmente ricercato e mai raggiunto, nella prima e nella seconda repubblica, viziate rispettivamente da un predominio del Parlamento sul governo, la prima, e da un goffo tentativo di rovesciare questo rapporto a favore del governo la seconda; e non garantito dal testo della riforma. Mai sfociato, peraltro, nel fisiologico diritto delle maggioranze ad approvare, nei tempi congrui imposti dalla sopravvenuta competizione internazionale, le proprie ricette di governo. Nonché di quello delle opposizioni, cui si chiede di abbandonare il vizio iperparlamentaristico di ostruzione del cammino del governo, per appropriarsi finalmente di uno spazio di denuncia degli errori e degli eccessi dell’esecutivo, e di illustrazione al paese delle proprie opzioni.

Entrambi i ruoli, di maggioranza e di minoranza, sono oggi deformati in un serrato corpo a corpo parlamentare e indeboliti da un’impostazione costituzionale comprensibilmente riluttante, a ridosso del ventennio fascista, a promuovere l’idea di un governo “forte”: in altre parole , autonomo e autosufficiente. E sono entrambi perseguiti più attraverso lo svuotamento delle prerogative delle camere, che non con la definizione garantita di statuti di maggioranza e opposizione, reciprocamente accettati.

Oggi che il governo punta a riconquistare, negli obiettivi di questa riforma, quel ruolo autonomo, certo e delimitato nella traduzione legislativa dei propri obiettivi, la contropartita che gli si richiede è quella di dismettere le “ maniere forti” con cui si è fatto largo nella aule, si potrebbe dire per legittima difesa. Di rafforzarsi attraverso il contestuale rafforzamento di un parlamento ormai ridotto a succursale di palazzo Chigi, da cui si diparte una sorta di catering legislativo preconfezionato, spesso mediocre , che deputati e senatori sono chiamati ad ingerire a scatola chiusa. Muti. Con il paradosso che, sui provvedimenti approvati a colpi di fiducia, diviene impossibile conoscere la reale volontà dei parlamentari , surrogata da una ripetitiva conferma di fiducia nel governo.

Il risultato che si può raggiungere, quasi inopinatamente , può essere quello di un ritorno pieno allo spirito ed alla lettera dell’art. 72 della costituzione: secondo il quale i progetti di legge si presentano e si discutono nelle due (domani praticamente una) camere e in entrambe prima nelle commissioni competenti e poi nelle aule. Ma soprattutto devono essere esaminati e votati articolo per articolo, senza la possibilità attuale di ridurli ad un maxiemendamento delle dimensioni di un romanzo. Il ritorno reale al procedimento legislativo costituzionale fa emergere un risultato, nel rispetto degli obiettivi originari, non meno incisivo di quello che si avrebbe mantenendo in essere l’insieme di prassi e precedenti che lo ha deformato. Così focalizzato e così dichiarato, prima di tutto dal governo, l’interesse generale potrebbe avvicinare le posizioni dei partiti e rimuovere l’inopportuna impostazione autoreferenziale del referendum.

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