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A Firenze la ricchezza in mano alle stesse famiglie da sei secoli

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studio della banca d’italia

A Firenze la ricchezza in mano alle stesse famiglie da sei secoli

I Bernardi sono più ricchi dei Grasso, a Firenze è così da seicento anni. Negli ultimi sei secoli sono cambiate solo le proporzioni: oggi chi porta il primo cognome guadagna il 5% in più di chi ha il secondo e conserva un 10% in più di ricchezza. In circa 25 generazioni le cose non sono cambiate, le famiglie più ricche nella Firenze del Rinascimento sono le più ricche nel 2011; gli stessi autori di questo studio, i due economisti della Banca d’Italia Guglielmo Barone e Sauro Mocetti, si sono stupiti dei risultati.

L’analisi si basa su determinati cognomi e rivela che chi si chiama in un certo modo è stato preservato nei secoli. Sembra una cosa tribale e probabilmente un po’ lo è, se si pensa che questo modo di individuare chi ti sta di fronte sopravvive in certe forme dialettali, in siciliano si dice «A chi appartieni?» (di che famiglia sei?)

Da questa domanda si scopre che la ricchezza in una città simbolo di Italia nel mondo - la notizia è stata subito ripresa dal Wall Street Journal - si è tramandata per cognome contro ogni regola economica moderna secondo cui in due massimo tre generazioni, gli avi non dovrebbero più essere fiscalmente rilevanti. La normalità dovrebbe essere che non importa cosa faceva il tuo bisnonno per sapere quanto sarai ricco tu oggi. E invece.

I due economisti prendono come oggetto di studio Firenze perché nel 1427 la Signoria ha bisogno di soldi e impone un censimento per tassare in base alla ricchezza delle famiglie. Un primo esperimento di equità fiscale da sempre studiato e apprezzato: gli storici della Brown University hanno digitalizzato questi dati a cui i due economisti italiani hanno attinto, spinti dalla curiosità scientifica di indagare «la mobilità intergenerazionale» o «la disuguaglianza delle opportunità». Detto in un altro modo: la possibilità che ha un giovane italiano di cambiare il proprio destino rispetto alle sue origini. Se poi questo italiano è giovane adesso, la situazione è ancora più grave come mostra il rapporto annuale Istat diffuso ieri.

*Nota: Confronto fra il censimento di Firenze 1427 e le dichiarazioni dei redditi 2011. A destra i dati del 1427: le percentuali indicano un minimo di ricchezza 1 e un massimo 100. A sinistra le lettere indicano i cognomi che non sono stati diffusi per motivi di privacy

Il risulto è visibile in tabella: a Firenze i cinque cognomi più ricchi nel 1427 sono i benestanti di oggi. Non si tratta di famiglie nobiliari che hanno preservato castelli e magioni di campagna, ma di corporazioni; nel tempo le persone con un certo cognome una volta mercanti di scarpe e seta sono diventati avvocati, banchieri, notai, farmacisti. Alcune categorie come gli orafi hanno tramandato il know how, quindi una forma accettabile di trasmissione della ricchezza; altre invece, constatano gli economisti, rappresentano quelle famigerate categorie che mantengono il proprio potere economico grazie a meccanismi di protezione e nonostante cambiamenti epocali: la città ha perso il suo stato, è passata la rivoluzione industriale, è arrivato il 900 e il miracolo economico solo per dirne tre.

Fra i cognomi in tabella l’unico in controtendenza è il cognome Y (professioni mediche): chi si chiama Y era molto ricco nel 1427 e ora non lo è più, una famiglia di medici che non ha saputo salvaguardare se stessa.

Lo studio si basa sul fatto che a un certo cognome corrisponde «un’occupazione modale», formula tecnica che vuol dire che a quel preciso cognome corrisponde spesso un certo tipo di lavoro e nei secoli una certa povertà ma soprattutto una stabile ricchezza. Gli economisti parlano di «persistenza contro mobilità»: la prima vince, la seconda soccombe. L’«elasticità intergenerazionale» è così molto bassa, il sistema prima che ingiusto è «inefficiente».

Il giornalista americano del WSJ pensa subito alle popolari tesi sulle ineguaglianze di Thomas Piketty, chiede se vi sia una relazione, gli autori di questo paper pubblicato su voxeu.org precisano che si tratta di storie parallele ma diverse. Piketty sostiene infatti che oggi «i ricchi sono sempre più ricchi», i due economisti che hanno studiato Firenze nei secoli dimostrano che «i ricchi sono sempre gli stessi», differenza che a un italiano non sfugge.

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