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Renzi chiude il caso Anpi. «Se vinco voto nel 2018»

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verso il referendum

Renzi chiude il caso Anpi. «Se vinco voto nel 2018»

Nessuna «gaffe» di Maria Elena Boschi. «Ci sono i veri partigiani che voteranno sì e i veri partigiani che voteranno no e noi abbiamo rispetto per tutti i partigiani»: Matteo Renzi ridimensiona la polemica provocata dalle parole del ministro per le Riforme, che avevano provocato anche la reazione della sinistra dem, ricordando che le posizioni all’interno dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani schieratasi contro la riforma costituzionale, non sono affatto univoche. Vale anche per i costituzionalisti.

Dopo il manifesto dei sostenitori del «no» ieri è arrivato anche quello a favore del «sì»: sono 184 i firmatari tra accademici, giuristi e costituzionalisti (tra cui Salvatore Vassallo, Salvatore Andò, Paola Bilancia, Paolo Carozza, Guido Tabellini, Tiziano Treu, Franco Bassanini, Sergio Fabbrini, Stefano Ceccanti, Paolo Pombeni, Francesco Clementi, Angelo Panebianco), che hanno esposto le ragioni a favore della riforma. Premettendo che la nuova legge costituzionale «non stravolge» la Carta e che «non c’è forse tutto, ma c’è molto di quel che serve», l’appello elenca i punti di forza del ddl Boschi: superamento «dell’anacronistico bicameralismo paritario»; differenziazione del procedimento legislativo tra Camera e Senato; razionalizzazione delle competenze delle Regioni; riequilibrio dei poteri normativi del governo; riduzione dei costi della politica. Schierato per il «sì» pur senza aderire a comitati è anche Giorgio Napolitano: «Ci vuole libertà per tutti - ha detto l’ex Capo dello Stato - ma nessuno può dire: io difendo la Costituzione votando no e gli altri non lo fanno. Mi reca un’offesa profonda».

A meno di due settimane dalle amministrative, a tenere banco è dunque sempre il referendum. Lo è anche per il premier che garantisce, in caso di vittoria del sì, il completamento della legislatura: «Se passa la riforma si torna a votare nel 2018». Nel frattempo c’è da fare i conti con le amministrative che si terranno tra meno di 2 settimane e che Renzi sembra quasi snobbare. «Alle amministrative si vota per i sindaci, il referendum decide il futuro dell’Italia», sottolinea il premier che però la prossima settimana si spenderà nelle principali città (Milano, Roma, Torino, Bologna mentre Napoli è ancora in forse) per sostenere i candidati del centrosinistra.

Il passaggio referendario resta comunque la priorità. L’attacco di Pier Luigi Bersani alla Boschi per le parole sui partigiani, confermano che la tensione interna al Pd non accenna a diminuire e che l’invito a mettere da parte le polemiche, espresso dal segretario all’assemblea dei parlamentari, non ha sortito effetti. «Il Pd - ironizza il premier - litiga su tutto perché siamo un partito democratico», anche se forse «ci abbiamo preso un po’ gusto perché non c’è mai una volta in cui riusciamo a passare una giornata senza discussioni interne» e comunque «meglio così che le espulsioni via mail», conclude lanciando una frecciata al M5s.

Le polemiche però non si placano. Ieri Celeste Ingrao ha diffidato il Pd dall’usare la foto del padre sui manifesti a sostegno del sì al referendum. «Non so chi siano gli ultras renziani - attacca su facebook la figlia dello storico esponente Pci - che hanno avuto questa brillante idea. Mi viene però da dirgli che se, come si usa dire ora, bisogna metterci la faccia ci mettessero la loro e quella dei loro ispiratori». Ma nel pantheon a favore della riforma costituzionale ci sarà anche Nilde Iotti, la prima donna presidente della Camera e tra i massimi dirigenti del Pci. Le sue posizioni per il superamento del bicameralismo e la riduzione dei parlamentari saranno infatti al centro del convegno che si terrà a Piombino in occasione del 2 giugno e a cui parteciperà il ministro Boschi. L’obiettivo è evidente: sottolineare che i contenuti della riforma sono patrimonio della storia della sinistra. Ma ieri sera in tv Bersani è tornato a protestare: «Se si cambiano le carte in tavola, se si costruisce una strategia per cui l’esito è spaccare il campo democratico allora mi sento libero. Basta demagogia, si è passato il segno.»

Il premier continua a giocare all’attacco. Anche sulla legge elettorale. Di rimettere mano alll’Italicum - dice - non se ne parla, perché con questa legge «finiscono inciuci e accordicchi». E a chi lo accusa, anche dentro il suo partito, di utilizzare i voti di Verdini, ricorda che in Parlamento non c’è un partito che abbia la maggioranza e che questa legislatura è nata con un accordo tra forze politiche di schieramenti opposti: «Verdini stava con Berlusconi. Quando votava la fiducia ai governi Monti e Letta nessuno diceva niente, adesso tutti sono preoccupati perché ha votato la fiducia alle unioni civili». Dunque i voti di Verdini «sono decisivi» quanto quelli degli altri. Anche l’opposizione però non demorde. Matteo Salvini ha annunciato per il 29 maggio a Milano una manifestazione contro il referendum mentre il capogruppo di Fi alla Camera Renato Brunetta attacca Renzi sostenendo che «il combinato disposto tra riforma costituzionale e Italicum potrebbe portare al potere Grillo: ci preoccupiamo tanto dell’estrema destra austriaca ma il programma di Grillo è molto simile».

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