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Senato snaturato, aumenta il dualismo Stato-Regioni

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Senato snaturato, aumenta il dualismo Stato-Regioni

L’articolo di Sergio Fabbrini sulle riforme costituzionali pubblicato il 30 aprile sul Sole 24 Ore merita un commento perché contiene rilievi alla lettera sullo stesso argomento firmata da 56 costituzionalisti. Come Presidente del “Comitato Popolare per il “NO al Referendum” credo di poter intervenire per offrire ai lettori una diversa valutazione.

Fabbrini osserva che in attesa «dell’ottimo si rifiuta il buono» e di conseguenza il «tentativo di innovazione» non viene considerato positivamente. La realtà è che il «tentativo di innovazione» non è buono ma pessimo e l’«inadeguatezza del sistema attuale» si aggrava ancor più con le modifiche che non rispondono a un disegno diverso della società e dello Stato rispetto a quello attuale.

La Costituzione italiana, come tutte le Costituzioni, disegna un modello che nelle democrazie corrisponde a un sistema parlamentare o a uno presidenziale. Le modifiche alla Costituzione di cui ci occupiamo distruggono il modello parlamentare e non propongono quello presidenziale. Ci troviamo di fronte a un “ibrido” che non semplifica né può determinare un «miglioramento concreto». La Costituzione repubblicana del 1948 ha delineato un’unità istituzionale tra Governo, Regioni e Comuni e sviluppato una democrazia matura che ha garantito la libertà e lo sviluppo del Paese. I 63 governi che si sono succeduti in questi anni e richiamati dal presidente del Consiglio hanno questo ruolo.

La ragione fondamentale del cambiamento, si dice, è l’eliminazione del bicameralismo paritario. Questo è davvero un imbroglio perché la doppia lettura delle leggi, esclusa per principio, è possibile in almeno dieci casi da concordare per ragioni politiche e non istituzionali. Nel caso però in cui si proceda a una seconda lettura la Camera può non tenerne conto e il nuovo Senato ha lavorato inutilmente. Questa è davvero una semplificazione? Non mi sono poi mai accorto che le sciagure del Paese dipendessero dalla doppia lettura delle leggi. E, in ogni caso, se si voleva eliminare questo inconveniente non era necessario sconvolgere l’assetto istituzionale della Repubblica parlamentare, incrinare la “rappresentanza”, mettere ancor più in crisi la democrazia dei partiti. Bastava eliminare il Senato. Una Camera delle autonomie locali così come concepita, con poteri non chiari e precisi, aggraverà inoltre il dualismo parlamentare tra le Regioni e lo Stato. I senatori non eletti ma indicati dalle Regioni saranno portati a difendere le “competenze concorrenti” tra Stato e Regioni e, quindi, a far prevalere criteri politici e inevitabilmente territoriali e non rigide regole costituzionali per dirimere le controversie.

Il presidente del Consiglio, infine, ha detto che il referendum è un test per la sua permanenza al Governo. Dichiarazione pericolosa che basta da sola a confermare la pretestuosità della proposta. Il “processo costituente” è materia del Parlamento non del Governo, il quale per il passato non ha mai “proposto” modifiche alla Costituzione. Il presidente del Consiglio ne ha fatto sin dall’inizio un problema personale e ha iniziato la campagna elettorale per convincere gli elettori che la riforma interessa forsennatamente il Governo. Ma un presidente del Consiglio può usare la sua carica per fare propaganda elettorale?

Si tratta dunque di una legge ad personam in grande stile che porta allo snaturamento del Senato (non alla sua soppressione che avrebbe fatto vivere un Parlamento monocamerale) e che insieme alla riforma elettorale già approvata mette in discussione gli stessi principi e valori indicati nella prima parte della Costituzione considerati finora immodificabili.

Presidente del Comitato popolare

per il no al referendum

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