«Se il percorso delle riforme non prosegue casca il castello che abbiamo messo in piedi e soprattutto l’Italia torna all’ingovernabilità e alle ammucchiate». Matteo Renzi, a meno di due settimane dalle elezioni amministrative in città importanti come Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli continua a prediligere il tema della riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo e riforma il Titolo V e che sarà sottoposta a referendum confermativo il prossimo ottobre. E continua a battere il tasto della governabilità e della stabilità, anche nei confronti di Bruxelles. Proprio le riforme messe in campo, di cui quella costituzionale è in un certo senso l’architrave, hanno permesso all’Italia di ottenere tutti i margini di flessibilità possibili dalla Commissione Ue. «Non voglio aprire scenari catastrofici - dice il premier e segretario del Pd durante un forum con Repubblica.it - ma se l’Italia fa le riforme siamo credibili e allora abbiamo la flessibilità; se invece le riforme non si fanno siamo il solito Paese ingovernabile e incapace di riformarsi, con la classe politica più costosa».
Forse per la prima volta da molti giorni Renzi non rimarca il solito «se perdo me ne vado», una personalizzazione ritenuta eccessiva anche da un sostenitore della riforma come Giorgio Napolitano, che ieri è tornato sul tema ricordando «le debolezze fatali della seconda parte della Costituzione» come il bicameralismo perfetto e «la posizione di minorità dell’esecutivo nell’equilibrio dei poteri» che la riforma approvata dal Parlamento in parte corregge. Ma Renzi non evita certo di mostrare i muscoli. Anche, naturalmente, guardando alle urne nelle città del 5 giugno. Da qui l’irridenza nei confronti di Lega e M5S: «In realtà sanno che se passa il referendum uno su tre resta a casa. Sono terrorizzati di perdere la poltrona e vivere l’esperienza mistica di tornare a lavorare». L’affondo contro il M5S arriva fino a colpire a principale candidata alle comunali, ossia Virginia Raggi in corsa per il Campidoglio (il 2 giugno Renzi sarà al fianco di Roberto Giachetti per tentare una rimonta del Pd nel rush finale): «Con Giachetti c’è una squadra molto competente, che è l’esatto contrario di chi apre la casella, trova la mail e firma un co.co.pro della Casaleggio associati». Immediata la replica di Luigi Di Maio, componente del “direttorio” oltre che vicepresidente della Camera: «Ci sono le elezioni amministrative tra due settimane e siccome il presidente del Consiglio non può muovere nulla perché le lobby non glielo permettono, allora spara slogan».
Lo scontro più acceso, tuttavia, resta ancora nel partito del premier. La tregua invocata dallo stesso Renzi nell’ultima direzione del partito in cambio dell’anticipo di qualche mese del congresso Pd non solo non regge ma stenta anche a prendere forma. Alle quasi quotidiane “punzecchiature” della minoranza sul referendum di ottobre Renzi risponde un po’ piccato, con meno aplomb del solito: «È evidente che c’è una parte del Pd che alimenta ogni giorno discussioni incomprensibili, ogni giorno c’è un dirigente della minoranza che trova le argomentazioni più incredibili, l’ultima quella del referendum come un congresso...». Obiettivo Gianni Cuperlo, che incalza: «Io non voglio trasformare il referendum nel congresso del Pd, io penso che il premier abbia nei fatti ottenuto questo risultato nel momento stesso in cui ha scelto di far coincidere un’eventuale sconfitta in quel voto con l’abbandono della vita politica». Né Pier Luigi Bersani, da parte sua, contribuisce a distendere i toni: «Così si rischia una spaccatura nel Paese che poi dura per anni... - dice l’ex segretario riferendosi anche, ma non solo, alle polemiche contro l’Associazione nazionale partigiani schierata per il No -. Io così non ci sto. Bisogna ricucire, invece si spacca e si continua a spaccare». Quanto all’Anpi, la decisione è quella di «intensificare la battaglia per il No» estendendola anche all’Italicum. Un «clima da corrida», secondo le parole dell’ex premier Enrico Letta: «La iperpersonalizzazione che il governo ha messo intorno a questo tema ritengo che sia un errore».
Eppure Renzi, ormai si è capito, la faccia ce la vuole mettere fino in fondo e non è intenzionato ad arretrare. Prova ne è che il comitato nazionale per il Sì non ci sarà, e dunque non ci sarà neanche il presidente (in genere una figura politica) di tale comitato. Ci sarà solo «un responsabile che sarà il portavoce per la comunicazione scientifica». Il vero presidente in campo per il Sì è lui, Renzi.