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Il Pg della Cassazione: «No alla stepchild adoption»»

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Il Pg della Cassazione: «No alla stepchild adoption»»

Nelle stesse ore in cui diversi parlamentari del centrodestra salivano le scale del Palazzaccio per depositare il quesito referendario per abrogare la prima parte della legge sulle unioni civili, perché - spiegava Alessandro Pagano - «introduce tra le righe la stepchild adoption nell’ordinamento giuridico italiano», al quarto piano dello Stesso Palazzaccio, nell’aula della I sezione civile, la Procura generale della Cassazione, per bocca del sostituto Francesca Ceroni, tuonava contro i giudici di merito che finora hanno riconosciuto la stepchild adoption a coppie omosessuali conviventi, perché «la legge Cirinnà sulle unioni civili appena approvata ha stralciato la stepchild adoption, e la legge 184/83 sulle adozioni alla quale si può al momento fare riferimento si occupa solo di infanzia abusata, abbandonata, maltrattata e di genitori in difficoltà», quindi «è inapplicabile» a situazioni in cui il minore - come nella fattispecie ieri all’esame della Cassazione - «è amato e curato dal genitore biologico».

Non solo: la Procura, nel nome della «pace sociale», chiedeva alla Corte di rimettere la decisione alle sezioni unite «per scongiurare» che in Italia «si determini una situazione a macchia di leopardo» e, quindi, il rischio «della più totale incertezza del diritto e dei diritti»; in seconda battuta chiedeva di annullare la sentenza della Corte d’appello di Roma che nello scorso dicembre aveva riconosciuto l’adozione di una bambina di sette anni da parte della partner della madre biologica, con cui conviveva stabilmente e felicemente da 13 anni. «Sia il legislatore a stabilire quali valori e quali diritti tutelare - diceva la Ceroni -. I giudici facciano un passo indietro in attesa di quelle scelte, che il Parlamento tradurrà in legge».

Nel pomeriggio, la giornata si è tinta di giallo per la marcia indietro della Corte rispetto alla decisione - concordata dal collegio il giorno prima e comunicata, dopo l’udienza, dal presidente Salvatore Di Palma - di comunicare il verdetto entro la serata, senza attendere il deposito della motivazione. Una decisione inedita ma saggia e doverosa, considerato l’interesse pubblico, politico, istituzionale e delle gerarchie ecclesiastiche, nonché i rischi di indiscrezioni e strumentalizzazioni. E considerato anche che la questione di diritto era già stata abbondantemente sviscerata dall’intero collegio. Ma tant’è. Alle 17,00 è arrivato il contrordine: un comunicato stampa informava che «la causa, tenuto conto della rilevanza delle questioni trattate, sarà decisa in tempi brevi». Quando? Non si sa. Forse è solo questione di giorni, o di ore. Ma il rinvio resta, col mistero delle ragioni che l’hanno determinato.

Sulla scena, quindi, è rimasta la presa di posizione della Procura guidata da Pasquale Ciccolo, che a molti è parsa un salto indietro di un secolo per impostazione e argomenti, al di là della conclusione contraria alla stepchild adoption, peraltro sostenuta anche dalla Procura generale presso la Corte d’appello di Roma, che aveva presentato ricorso contro la sentenza dei giudici d’appello, favorevoli alla coppia gay. Ricorso di cui il legale delle due donne, l’avvocato Maria Antonia Pili, ha chiesto il rigetto, ricordando che la legge 184/83 «non sanziona i genitori, ma tutela i bambini».

Di tutt’altro avviso la Procura. Dopo aver escluso che esista «una tendenza europea» sull’adozione del figlio del partner, il Pg ricorda che la legge Cirinnà, «dopo lo stralcio dell’articolo sulla stepchild adoption», fa salvo quanto previsto dalle norme vigenti. Ma, riesumando «lo strumento deduttivo del sillogismo», il Pg conclude che le norme vigenti siano applicabili perché la legge 184/83 si occupa «solo di infanzia abbandonata e di genitori in difficoltà mentre nella fattispecie abbiamo un minore amato e curato dal genitore legittimo». Ceroni sbarra la strada anche alla deroga prevista nella lettera d) dell’articolo 44 (adozione in casi particolari) perché «le norme derogatorie vanno interpretata in modo restrittivo» e «questo fa parte, tra l’altro, delle regole non scritte di compostezza istituzionale e di “self restrain” del potere giudiziario, che non deve fare invasioni di campo. Non è mancanza di coraggio - precisa - ma rispetto degli equilibri tra i poteri dello Stato, essenza delle moderne democrazie: la scelta dei valori meritevoli di tutela, da trasformare in diritti, grazie a un testo normativo, è riservata al potere legislativo, ai giudici l’onore e l’onere di applicare quel testo». Eppure, nelle stesse ore, a Palazzo dei Marescialli, in un convegno del Csm sulla «dimensione economica del diritto post moderno», il primo presidente della Cassazione Gianni Canzio affermava: «Non ho mai conosciuto giudici puramente sillogistici e nemmeno “creatori”, ma giudici che provano ogni giorno a mediare tra la norma astratta e i fatti della vita per dare risposte adeguate ai casi e ai bisogni dell’esistenza».

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