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Dossier | N. 10 articoliG-7 in Giappone, focus sull'economia globale

L’appello contro il nucleare e la doppia ambiguità di Obama a Hiroshima

(Ap)
(Ap)

Oggi, 27 maggio 2016, la storia passa ancora una volta da Hiroshima. Per la prima volta il capo in carica dell'unica Nazione che ha usato la bomba atomica, a fianco del capo dell'unica Nazione che ne è stata vittima, si inchinerà al cenotafio delle vittime della più grande strage istantanea mai avvenuta nelle pur tanto crudeli vicende dell'umanità.

Sono passati quasi 71 anni dal 6 agosto 1945 e da quei 140mila morti, mentre non è finito il calvario dei superstiti hibakusha. Il mondo attende non solo la notizia di un viaggio simbolico, ma un messaggio forte da parte del premio Nobel per la Pace Barack Obama, che poco dopo il suo insediamento alla Casa Bianca parlò a Praga del suo desiderio di un mondo senza più armi nucleari. Dopo sette anni di preparativi diplomatici, sul piano bilaterale l'evento è stato turbato - quasi alla vigilia - da un nuovo tragico episodio di violenza che ha coinvolto un membro del personale addetto alla base dell'aviazione di Kadena a Okinawa, l'isola che ospita più della metà delle forze Usa in Giappone come avamposto strategico della proiezione americana sull'Asia. Sullo strangolamento di una ragazza di vent'anni, Obama ha espresso condoglianze e rammarico. Ma a Hiroshima non si scuserà formalmente - commemorando piuttosto «tutte le vittime della guerra»” - se non altro per comprensibili motivi politici: se lo facesse, probabilmente inciderebbe sulle chanches presidenziali del candidato democratico.

Più ci si allontana nel tempo dal massacro, più la bomba appare come un crimine ingiustificato e ingiustificabile (ancora di più quello di Nagasaki), ma negli States prevale ancora una “narrativa” secondo cui la distruzione di Hiroshima salvò centinaia di migliaia di vite americane (e non), avvicinando la fine della guerra. Obama deve camminare su un filo sottile per non “antagonizzare” i veterani o imbaldanzire gli avversari della destra: non a caso visiterà e ringrazierà, poche ore prima, i militari della base di Iwakuni. Lo stesso governo giapponese non chiede scuse, né le esigono gli hibakusha, per i quali la visita, più che guardare al passato, deve diventare di importanza fondamentale per il futuro. In sottofondo, resta una doppia ambiguità.

Una americana, sottolineata ieri da Greenpeace: tutti siamo contenti della visita di Obama, ma è anche vero che gli Usa hanno in programma di «investire quasi mille miliardi di dollari nell'ammodernamento ed espansione delle capacità nucleari». Più sottile l'ambiguità del Giappone, che si sente protetto dall'ombrello atomico Usa e – a fronte di nuove percepite minacce, come quelle nucleari dalla Corea del Nord o strategiche dalla Cina – non appoggia i tentativi di bando formale delle armi atomiche promosse da molti Paesi non-nucleari.

Inoltre Tokyo si tiene l'opzione di entrare nel Club atomico in eventuali future situazioni di emergenza, grazie allo stoccaggio di ampie quantità di combustibile spento. Si può continuare con distinguo e perplessità: in Cina e Corea, ad esempio, c'è chi teme che la visita di Obama finisca per giocare in favore di certe tendenze revisioniste che enfatizzano l'immagine di un Giappone più vittima che aggressore. Esclusa la questione delle scuse – non necessarie in quanto non richieste e potenzialmente controproducenti – resta da vedere se e quanto il presidente uscente saprà accompagnare il suo pur importante gesto simbolico con qualche indicazione di sostanza per il rilancio del processo di disarmo nucleare, oggi in preoccupante stallo.

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