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La «formula» di Einstein per Roma e Bruxelles

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L’ANALISI

La «formula» di Einstein per Roma e Bruxelles

Nell’antica Ellade la parola krisis (separazione) indicava la distinzione tra una parte buona (opportunità) e una cattiva (difficoltà). Dalla Grecia, all’indomani dell’elezione di Alexis Tsipras, il dilemma si è riproposto per la Ue.
Nel 2014 si trattava di scegliere tra crescita e austerità. La vittoria di Syriza era la risposta inascoltata (Atene era poco credibile) a un problema molto sentito. Come si dice: si guardava il dito, anziché la luna.

A leggere la crisi con questa chiave si capisce quanta sabbia abbia dovuto mettere la Bce per cercare di capovolgere la clessidra del rigore. In questi due anni qualcosa si è mosso, anche se per l’Italia l’uscita dal tunnel non è a portata di mano. Non tutto il quadro (dell’economia e della finanza pubblica) è buio, qua e là ci sono sprazzi, anche confortanti, di luce. Il mantra che arriva da Bruxelles è chiaro: bisogna fare le riforme. Giusto. Su lavoro, giustizia, Pa, l’Italia sta facendo la sua parte. Ne servono altre, ma quali? Le solite e con le solite modalità? E le risorse? Ostacoli superabili, bisogna solo “scegliere”: restare inchiodati nella sfiancante curva della recessione o fare uno scatto per imboccare il rettilineo della crescita? Servono nuovi strumenti e strategie.

Dall’assemblea di Confindustria sono arrivate - per voce del neopresidente di Viale dell’Astronomia, Vincenzo Boccia, e del neoministro allo Sviluppo, Carlo Calenda, voci incoraggianti: più produttività, più capitali di rischio, più incentivi all’innovazione. Non si può più continuare con politiche industriali general generiche, né possiamo ancora permetterci il lusso di non saper mettere mano a una seria spending review. A Roma (ma anche a Bruxelles) potrebbe tornare utile fare propria la “formula” sulla crisi di Albert Einstein: «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose». Qui sta la scelta. E non vale solo per l’Italia.

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