Oggi non sembra più così scontata l’equazione tra abolizione della tassa sulla prima casa e vittoria nelle urne. E infatti il Pd di Renzi non gioca da vincente in questa corsa elettorale. Anzi in alcuni casi rincorre i 5 Stelle, in altri il centro-destra, solo in pochissime città sente di avere la riconferma in tasca ma sono casi legati più alla storia locale, alle dinamiche cittadine. Insomma, l’esito di queste amministrative resta un punto di domanda mentre anni fa l’aver tolto l’odiata tassa avrebbe dato un vantaggio significativo. Avrebbe dato la pole position. Come in un calcolo matematico, era il due più due della campagna elettorale che faceva sicuramente quattro.
È stata la carta vincente di Silvio Berlusconi che nel 2008 conquistò una vittoria schiacciante. Ma oggi, a otto anni di distanza, quel jolly non sembra più così potente. Tanto è vero che il 16 giugno il premier ha annunciato la festa della fine della Tasi con i banchetti del Pd nelle piazze. Mancheranno solo tre giorni ai ballottaggi ma è quasi paradossale dover ricordare agli italiani che non avranno più l’appuntamento con la prima rata. Anche questo è un segno del cambiamento: la necessità di mettere l’enfasi dove l’enfasi, forse, non c’è più.
E dunque l’indicazione che verrà fuori dalle urne sarà utile per tutti i partiti non solo per Renzi. Perché se nonostante l’azzeramento dell’imposta – che ha un peso a maggior ragione nelle comunali – il bilancio del Pd non sarà positivo nelle città, vorrà dire che qualcosa è radicalmente cambiato. E che il “patto” con i cittadini, il registro delle promesse e degli impegni, oggi si deve scrivere su basi totalmente nuove.
Questo voto – insomma – darà un segnale sullo stato del malessere economico e sociale e si capirà se va curato come è stato fatto finora dal Governo, con gli 80 euro e la Tasi, o se è necessario reimpostare la politica economica prendendo atto di qualcosa di più profondo e nuovo che serpeggia nella società. L’esempio che viene dall’estero, dall’Europa ma anche dagli Stati Uniti, mette in evidenza come il tema delle diseguaglianze, dei divari incolmabili tra redditi, abbia messo in crisi il ceto medio al punto da creare un risentimento e non solo delusione. In qualche modo dai test di grandi città come Roma, Milano e Napoli, si accenderà anche da noi qualche spia su come sia mutato il tessuto sociale nelle varie aree metropolitane.
È vero che ogni città ha la sua storia, da Roma a Napoli, e che il Pd sui territori continua a soffrire, ma otto anni fa la promessa fiscale aveva una forza superiore a tutto. Il “meno tasse per tutti” era in grado di rimettere in moto il circuito positivo delle aspettative e della fiducia, consumi e investimenti. E oggi? Questa è la domanda delle amministrative. Che arrivano proprio nell’incrocio tra un’economia che stenta e il grande tema dell’immigrazione, benzina sul fuoco delle frustrazioni sociali, altro elemento che accresce il divario tra classi, tra centro e periferia.
Qui lo sforzo del Governo è stato notevole, il Migration compact è stata un’iniziativa italiana apprezzata e con il segno positivo, ma l’attuazione non segue i tempi elettorali visto che sarà sul tavolo di Bruxelles nel vertice Ue di fine giugno. Resta quindi il dubbio se la Tasi potrà essere vissuta come un “risarcimento” per altre paure, come quella dell’immigrazione. Dalle città arriverà qualche utile indizio, anche per il referendum di ottobre.
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