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Dossier Responsabilità d’impresa in bilancio

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    Dossier | N. 9 articoliRapporto Sviluppo sostenibile

    Responsabilità d’impresa in bilancio

    PierMario Barzaghi
    PierMario Barzaghi

    Le imprese europee maggiori di interesse pubblico dovranno integrare nel bilancio gli elementi sociali, ambientali e di governance distintivi della loro attività. I nuovi obblighi di legge derivano dalla direttiva 2014/95/UE, sulla cui applicazione in Italia è in corso in questi giorni (fino a venerdì 3 giugno) una consultazione pubblica al ministero dell’Economia e delle finanze, Mef (i commenti possono ancora essere inviati via posta elettronica: dt.direzione4.ufficio4@dt.tesoro.it). La normativa europea va infatti recepita entro dicembre e la consultazione è propedeutica a capire meglio il contesto italiano. Agli Stati membri, difatti, la normativa consente di scegliere la via più adatta al proprio tessuto economico.

    Intanto, i gruppi industriali e finanziari più evoluti su questi temi stanno già lavorando da anni su questo fronte, che può aprire la strada a grandi benefici economici e ambientali. «I benefici ottenuti, in termini di recupero di efficienza, taglio degli costi e fidelizzazione e coinvolgimento di dipendenti, clienti e fornitori, è tanto più elevato quanto più la sostenibilità economica, sociale e ambientale è integrata nelle strategie aziendali: solo così si crea un modello di gestione che garantisca mitigazione dei rischi d’impresa (danni reputazionali, ad esempio) e prese di opportunità rapide (mediante il miglior impiego delle risorse, il recupero di efficienza e il lancio di nuovi prodotti green)», spiega Eleonora Giada Pessina, Group sustainability officer di Pirelli.

    Fin qui, la descrizione di best practice, che non a caso scelgono spesso la via del bilancio integrato. In tema di mera compliance normativa, invece, il percorso può essere molto più graduale. Vediamo la nuova normativa quali ambiti di applicazione riguarda.

    La nuova direttiva

    «La direttiva Ue sulle Non-financial and diversity information (2014/95/UE) in merito ai diritti sociali e umani, all'ambiente, alla lotta alla corruzione e alla politica di diversità relativa alla composizione degli organi direttivi e di controllo da parte di società e gruppi di grandi dimensioni riguarda aziende che devono avere un minimo di 500 dipendenti e rappresentare enti di interesse pubblico (Eip, lo sono ad esempio le società quotate, enti creditizi, compagnie assicurative e altre entità che come tali siano state designate dagli Stati membri)- spiega PierMario Barzaghi, partner Kpmg -. Riguarda direttamente circa seimila imprese in Europa. In Italia, saranno circa 250». Poche per fare massa critica? Solo in apparenza: si tratta dei maggiori gruppi, con alti fatturati e imponente numero di lavoratori e fornitori e che hanno un grande impatto sulla catena di fornitura e in termini di creazione di valore non solo economico.

    Una svolta significativa, quindi, che però pare non essere stata ancora percepita, a livello generale (con lodevoli eccezioni). Molti consigli d’amministrazione (cda), general counsel (o responsabili dell’ufficio legale) e chief financial officer ne stanno solo ora prendendo coscienza. Certo, in teoria sarà possibile non pubblicare le informazioni richieste dalla direttiva, ma vigendo il principio «comply or explain», in caso di mancata disclosure le imprese avranno l’onere di dichiarare in maniera esaustiva i motivi di tale scelta omissiva (sempre che le norme italiane di recepimento non dispongano diversamente).

    Le imprese quotate, poi, devono tenere presente altri aspetti collegati. Sul tema della sostenibilità è intervenuto anche, in data 9 luglio 2015, il Comitato per la corporate governance di Borsa italiana, nelle modifiche del Codice di autodisciplina (la cui adesione è volontaria). Il quale segnala ora alle quotate dell’indice FTSE-Mib l’opportunità di costituire all’interno del cda un apposito comitato dedicato alla supervisione delle questioni di sostenibilità connesse all'esercizio dell'attività dell'impresa e alle sue dinamiche di interazione con tutti gli stakeholder. O almeno di ripartirne le funzioni tra gli altri comitati. Qui pare che si faccia più riferimento alla sostenibilità economica d’impresa nel medio-lungo periodo, che comunque rientra nell’alveo della sostenibilità (la quale ha tre dimensioni: sociale, ambientale ed economica). Nuove regole e raccomandazioni, quindi, in tema di responsabilità sociale d’impresa. Ma, convegni a parte, su questi temi pare esserci il silenzio. Perché? Sorride Barzaghi, fra i consulenti pionieri dei bilanci di sostenibilità e di quelli integrati. È abituato a vedere i suoi bilanci considerati con condiscendenza dai più o intesi romanticamente come l’apostrofo verde tra le parole “l’impresa”. Ma ora tutto può cambiare. Aiuterebbe spiegare ai cda e alle prime linee aziendali il trend in atto sulla regolamentazione non finanziaria. «La direttiva andrebbe spiegata - conferma Barzaghi -. Certo, si attende il recepimento da parte dell’Italia di linee guida che indirizzeranno la rendicontazione delle informazioni non finanziarie, andando a specificare gli indicatori quantitativi e i requisiti di natura qualitativa. Ma conviene farsi trovare preparati».

    «Alcune istituzioni finanziarie (fra cui Unicredit, Fideuram, Banca Etica, Assicurazioni Generali) e i gruppi più avanzati sotto il profilo della governance (come Eni, la citata Pirelli, Atlantia, Sabaf) stanno scegliendo senza indugi la via più difficile, sfidante ma ricca di benefici sul lungo periodo: l’elaborazione del bilancio (o report) integrato - racconta Barzaghi -. Un numero di aziende leader in crescita, in Italia e all’estero, operanti in vari settori (non solo la finanza e l’energia)».

    Le piccole e medie imprese

    L’Unione europea sta andando con i piedi di piombo su questi temi, perché molte imprese temono un eccesso di costi collegati al boom delle istanze di sostenibilità. «L’applicazione della direttiva dovrebbe costituire una spinta propulsiva verso il miglioramento e non un vincolo aggiuntivo che si frappone in particolare fra la piccola o media impresa, Pmi, e la sua crescita», auspica Barzaghi.

    Tuttavia, le Pmi non sono esenti da queste tematiche. Segnala il Mef nel documento di consultazione che i fornitori di una società ricompresa negli obblighi della direttiva «saranno comunque oggetto di informativa, indirettamente, nell'assolvimento degli obblighi di trasparenza di quest'ultima, stante l'obbligo di descrivere le politiche applicate, e i risultati, in merito alle procedure di dovuta diligenza applicate anche in riferimento ai rapporti commerciali, al fine di individuare, prevenire e attenuare ripercussioni negative esistenti e potenziali».

    Converrà applicare la direttiva, garantisce il Mef: si tratta di un passo verso il conseguimento dell'obiettivo di creare entro il 2020 incentivi di mercato e politici che ricompensino gli investimenti in efficienza realizzati dalle imprese nel quadro della tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse.

    Il trend green, d’altro canto, è inarrestabile: le più avanzate sotto il profilo della governance (ad esempio molte fra le premiate con il prestigioso Premio Ambrogio Lorenzetti di Governance consulting) elaborano il bilancio di sostenibilità. «Nell'attuale contesto, la richiesta di informazioni trasparenti è crescente da parte degli enti di regolamentazione, degli investitori e degli altri stakeholder».

    Tante aziende italiane alla ricerca di investitori esteri riferiscono che la prima richiesta di informazioni, quando i loro dossier arrivano sui tavoli, riguarda la loro governance: i fondi d’investimento, i club deal di investitori, le imprese cinesi e tedesche a caccia di partecipazioni in territorio italiano non puntano denaro dove il rischio e l’opacità sono troppo alti. «Una strategia green rendicontata da un buon bilancio di sostenibilità e una governance evoluta costituiscono un fiore all’occhiello per un’impresa», conferma Barzaghi.

    Inoltre, i clienti globali delle Pmi italiane chiedono ormai stringenti Kpi (Key performance indicator) sociali e ambientali ai fornitori, pena la loro sostituzione con altri. Chi non avvia un percorso di rendicontazione sociale e ambientale trasparente, rischia insomma di perdere i suoi clienti (soprattutto i tedeschi, riferiscono tante aziende, come il leader delle pelli pregiate, la Dani di Arzignano). Questa, ad esempio, la prassi di un colosso come Bmw: i fornitori che non si impegnano su un piano di allineamento ai principi del Global compact delle Nazioni unite rischiano le commesse. La sostenibilità, quindi, non è più un romantico apostrofo verde fra le parole “l’impresa”. È un elemento distintivo della value proposition di un’azienda globale. Piaccia o no agli scettici.

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