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Aumenta la partecipazione al mercato del lavoro

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l’analisi

Aumenta la partecipazione al mercato del lavoro

Ansa
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Segnali positivi dall’Istat. Ad aprile si contano 215mila occupati in più dell’anno precedente, soprattutto con posti di lavoro permanenti (+279mila), mentre sono calati sia i dipendenti a termine che gli indipendenti. Segno di come la decontribuzione sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato quest’anno, sia pure in formato ridotto, stia producendo frutti. Non tanto sul tasso di occupazione che ad aprile 2014 (senza incentivi) era al 55,5%, lo stesso mese del 2015 (con la decontribuzione piena) al 56,1%, per attestarsi quest’anno al 56,9%. Quanto sulla trasformazione di contratti da temporanei in stabili. Sempre nel confronto con aprile 2015 cresce la partecipazione al mercato del lavoro, con 93mila disoccupati e 292mila inattivi in meno.

Serve, tuttavia, grande cautela nella lettura di questi dati, soprattutto alla luce delle debolezze che continuano a caratterizzare il nostro mercato del lavoro. Bisognerà attendere i prossimi mesi per vedere se queste tendenze positive si consolideranno o meno. Anche perché solo in presenza di una ripresa solida dell’economia c’è da attendersi un consistente incremento dell’occupazione. C’è bisogno della crescita, dunque, e bisogna creare un terreno fertile per spingere le imprese ad assumere. Non a caso, in vista della prossima legge di bilancio, prende consistenza il taglio strutturale del cuneo fiscale.

Sul versante congiunturale ad aprile si assiste per il secondo mese consecutivo all’incremento dei livelli occupazionali (+0,2%); nel confronto con marzo cresce la disoccupazione che resta su livelli alti (11,7%), anche se questo dato va letto insieme al calo degli inattivi (-113mila) che fa pensare ad un travaso. Persone in precedenza scoraggiate, che erano fuori dal mercato del lavoro, hanno iniziato ad attivarsi per cercare un’occupazione, facendo crescere il numero di disoccupati. In questa luce l’aumento della disoccupazione non è un fenomeno del tutto negativo. Ma guardando al di fuori dell’Italia, Eurostat mette in luce come il nostro tasso di disoccupazione all’11,7% si collochi sopra l’8,7% della media della Ue a 28 e il 10,2% della zona euro. Siamo distanti dalle prime posizioni (Repubblica Ceca e Germania viaggiano poco sopra il 4%), ma anche dagli ultimi (Grecia e Spagna, rispettivamente, con il 24,2 e il 20,1%). Desta preoccupazione soprattutto il tasso di disoccupazione giovanile al 36,9% (in aumento dello 0,2% su marzo 2016, ma in calo del 4,5% su aprile 2015). È quasi il doppio della media dei giovani disoccupati della Ue (19,9%) e della zona euro (21,1%). Molto distanziata dalla Germania (7%), l’Italia figura al quartùltimo posto (la Grecia è fanalino di coda con il 51,4%). Il fenomeno ha radici lontane. Il tasso di disoccupazione giovanile sin dall’inizio delle rilevazioni dell’Istat, a gennaio 2004, era alto (22,2%), ha superato l’asticella del 30% a fine 2011, nel pieno della crisi, per toccare il 42,9% all’arrivo del governo Renzi, a febbraio 2014, (la disoccupazione generale era al 12,8%). Problema in gran parte legato alla mancanza di collegamento tra il mondo scolastico e quello lavorativo. I giovani sono stati penalizzati dall’assenza di percorsi formativi orientati a rispondere alla vocazione produttiva del territorio, dalla mancanza di dialogo tra scuole, università e aziende. Con il piano di alternanza scuola-lavoro, ispirato alla formazione duale tedesca, il governo Renzi prova a colmare questa grave lacuna. Mentre Garanzia Giovani rivolto ai 2,2 milioni di giovani Neet (che non studiano, non lavorano e non partecipano a percorsi di formazione), è stato un mezzo flop sul versante della creazione di posti di lavoro, e sta andando meglio sul fronte dei tirocini.

C’è un altro fattore di debolezza del nostro mercato del lavoro: abbiamo pochi occupati, soprattutto a causa dell’enorme divario di genere. Il tasso di occupazione al 56,9% è ancora basso, se raffrontato con la media Ue (64,1%), dell’area euro (63,7%) o dell’Ocse (65%). È la conseguenza di un tasso di occupazione femminile fermo al 47,6%, in confronto al 66,3% degli uomini. L’aumento del tasso di occupati tra marzo e aprile interessa gli uomini (+1% contro +0,6% delle donne). L’incremento della disoccupazione di aprile, invece, è dovuto esclusivamente alla componente femminile che cresce dello 0,4% (al 12,8%), mentre quella maschile cala di 0,1 punti (10,8%), anche se in molti casi potrebbero essere donne prima inattive. L’organizzazione del lavoro penalizza le donne che devono farsi carico dell’assistenza dei figli o dei familiari. Per invertire questo fenomeno occorre investire sui servizi di welfare familiare e rafforzare le misure di conciliazione tra vita e lavoro. Ne guadagnerebbe il mercato del lavoro e, con esso, il Pil.

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