MILANO
La deflazione allenta la presa ma non molla. Il calo del prezzo del petrolio fa ancora sentire gli effetti sull’inflazione ma gli analisti prevedono l’uscita dalla deflazione a partire dall’autunno. Sempre che il barile non si allontani troppo dai 50 dollari.
Nel mese di maggio, secondo le stime preliminari di Istat, l’indice dei prezzi al consumo ha registrato un aumento dello 0,3% su base mensile e una contrazione su base annua pari a -0,3% (in aprile era -0,5%): il quarto dato tendenziale negativo consecutivo.
Secondo l’istituto di statistica il ridimensionamento della flessione su base annua dell’indice è principalmente da attribuire all’inversione di tendenza dei prezzi dei tabacchi (+2% da -0,3% del mese precedente) e degli alimentari non lavorati (+0,3% da -0,5%).
La persistenza delle dinamiche deflazionistiche è in gran parte riconducibile ai forti cali dei prezzi dei beni energetici (-8,2% rispetto a maggio 2015), al netto dei quali l’inflazione è pari a +0,5% (da +0,4% di aprile).
L’inflazione acquisita per il 2016 è pari a -0,3% (era -0,4% ad aprile). I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (in pratica tutti quelli che acquistiamo al supermercato) aumentano dello 0,3% rispetto ad aprile e registrano una variazione nulla su base annua (da -0,2% del mese precedente).
«Il dato, da un lato, è negativo e conferma il terzo anno consecutivo di inflazione zero - osserva Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo - dall’altro, è confortante perché conferma che in aprile c’è stato un picco ma ora, con l’attenuarsi dei ribassi dell’energia nei trasporti e nella casa, i prezzi hanno un trend meno deflattivo. Prevediamo che rimangano in terreno negativo almeno fino a settembre, poi in finale d’anno stimiamo un +0,6%».
Mameli non nasconde che la causa della deflazione è la debolezza della domanda di beni di consumo e «questa potrebbe caratterizzare anche il 2017: infatti ci aspettiamo un’inflazione all’1%. Ben lontana dal 2% auspicato dalla Banca centrale europea».
Dal fronte dell’industria, Giuseppe Ferro, ad di La Molisana, conferma che «la crisi continua a mordere e si scarica persino su un prodotto di base ed economico come la pasta. Le famiglie hanno razionalizzato la spesa e non buttano via più nulla. Infatti l’anno scorso, ma anche in questo inizio di 2016, il calo delle vendite ha sfiorato, a volume, il 6% mentre è cresciuto, a valore, del 3%, trainato però dalla pasta integrale (+28%) e dal senza glutine (+22%)».
I volumi sono comunque in calo anche oggi nonostante «le catene commerciali facciano a gara nelle promozioni - aggiunge Ferro - E addirittura due network, come Unes e Alì, propongano “prezzi bassi tutti i giorni”. Inevitabile che anche i prezzi della pasta siano colpiti dalla deflazione e i margini dei produttori erosi».
Tornando ai dati Istat di maggio, il commento dell’ufficio studi di Confcommercio li vede «in linea con un quadro che mostra timidi segnali di miglioramento. Sebbene sul dato abbiano influito anche fattori di natura episodica, va segnalato come l’inflazione di fondo registri un lieve rialzo, circostanza che avvalora l’ipotesi di un ritorno alla crescita tendenziale dei prezzi già prima del prossimo mese di agosto».
Per Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, «anche al netto dei beni energetici la dinamica dei prezzi (+0,5%) rimane debole, sintomo di una domanda che non riesce a mettere in moto la ripresa del Paese. Le famiglie italiane, pur registrando un aumento del potere d’acquisto e del livello di risparmio, restano caute e prudenti sui consumi». Poi Cobolli Gigli si mostra preoccupato dal quadro congiunturale: «Deflazione, consumi che non decollano (anche il settore auto mostra qualche cedimento), produzione industriale calante ed export sotto pressione sono tutti segnali preoccupanti che devono indurre il Governo a trovare le risorse per continuare a stimolare la ripresa».
Infine per il Codacons «se le famiglie non comprano, i prezzi al dettaglio sono destinati a non crescere. Il timido incremento dell’inflazione a maggio non può soddisfare, perché risponde al forte rincaro dei prezzi del tabacco e non a una reale ripresa dei listini, né ad un incremento dei consumi da parte delle famiglie».
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