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L’asimmetria di poteri dei sindaci

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L'Analisi|POLITICA 2.0 - ECONOMIA & SOCIETÀ

L’asimmetria di poteri dei sindaci

Una forte investitura popolare ma con ristretti margini finanziari e mille gabbie burocratiche. È una condizione di grande asimmetria quella dei sindaci, scelti direttamente dai cittadini ma con un limitato raggio d’azione, “condannati” a negoziare prima che a decidere.
La legge elettorale scritta per i Comuni ha creato per molto tempo una aspettativa chiara: dare ai sindaci un’investitura popolare forte e quindi creare delle figure politicamente solide in grado di cambiare e decidere. Un meccanismo di causa-effetto che per un po’ ha funzionato. Molte città sono cambiate in meglio, gran parte della classe dirigente nazionale è arrivata dall’esperienza da sindaco, i governi locali sono stati più stabili. Da qualche tempo però tutto si è appannato e di quell’aspettativa è rimasto poco. Sono rimaste intatte le responsabilità politiche ma si sono ridimensionati i poteri e la capacità di incidere. La figura del sindaco è entrata a far parte della crisi più generale della politica, mentre prima ne era rimasta indenne, e in parte questo è dovuto agli scandali giudiziari. In parte. L’altra ragione è che le regole europee e quindi le ristrettezze finanziarie hanno colpito anche o soprattutto loro e man mano sono finiti nell’angolo.

Prima del fiscal compact si poteva concepire una spesa come quella fatta a Roma per il Giubileo, ora si mette perfino in dubbio la possibilità di candidare la Capitale per le Olimpiadi del 2024. È vero che molto dipende dal debito accumulato dalle città – e da Roma in particolare - ma la crisi finanziaria ha colpito tutti. Anche i Comuni virtuosi, come si sa. Perfino nei casi di buona gestione amministrativa, i sindaci sono stati costretti alle casse chiuse e alle mani legate dal patto di stabilità interno.
Quello che è successo con le leggi Finanziarie degli ultimi anni, sotto la inevitabile pressione del rigore europeo, ha condannato i sindaci a un potere più nominale che sostanziale perché le regole di bilancio hanno costretto chi avrebbe potuto investire alla paralisi. Con il grande paradosso che la spesa corrente è cresciuta e quella per investimenti si è ristretta contribuendo a inasprire la crisi dei territori.
E quindi la realtà non nuova con cui si confronteranno soprattutto quelli che per la prima volta si candidano nelle città, è che dovranno essere in grado di negoziare, soprattutto. Tra gli alti livelli del debito come a Roma, grandi progetti straordinari e di spessore nazionale come Bagnoli a Napoli o la destinazione dell’area Expo a Milano, i nuovi sindaci dovranno necessariamente trattare con il Governo nazionale e cercarsi anche un’interlocuzione europea sui fondi Ue.

È' vero che il patto di stabilità dei Comuni è stato allentato dal Governo Renzi – notoriamente più filo-sindaci che pro-Governatori - e che lentamente andrà in dissolvenza ma il tema delle risorse resta intatto così come quello della burocrazia. E dunque lo scoglio più alto che i neo sindaci dovranno affrontare è sicuramente quello di recuperare spazi di decisione, riallineare la visibilità politica a una reale possibilità di incidere. Tra l’altro sono tempi in cui la diffidenza dei cittadini è alta e l’annuncio di un taglio delle tasse, come per esempio la Tasi, viene puntualmente verificato e incrociato con altri balzelli, tariffe, aliquote per vedere se davvero ciò che si risparmia da un lato non aumenti dall’altro.
La camicia di forza, insomma, è una e vale per tutti, dal Governo ai Comuni. E quella che si è creata è una catena di scelte “condizionate” che partono da Bruxelles e arrivano fino a una qualsiasi delle città in cui si vota oggi. In vent’anni insomma, anche per i sindaci, man mano è emersa la consapevolezza di una sovranità limitata e di una asimmetria tra investitura popolare e libertà nelle scelte finanziarie.

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