MILANO - Per commentare i voti del primo turno delle amministrative di Milano, i candidati usano la metafora calcistica. Per Giuseppe Sala, del centrosinistra, «il primo tempo è finito uno a zero»; per Stefano Parisi, del centrodestra, «abbiamo parato un rigore e il prossimo lo tiriamo noi fra 15 giorni». Ed è proprio la sensazione di essere ai calci di rigore che contraddistingue la corsa per Palazzo Marino, che si chiuderà con il ballottaggio del 19 giugno.
Il primo turno è stato un brutto risveglio per il centrosinistra, che sapeva sì di essere di poco in vantaggio rispetto al centrodestra, ma di sicuro fino a domenica sera non immaginava che a separare Sala e Parisi sarebbero stati soltanto 5mila voti. Che, tradotti in percentuale, vuol dire solo lo 0,9%: Sala arriva al 41,7%; Parisi al 40,8.
Non sono mancati i colpi di scena. Qualche giorno prima del 5 giugno i sondaggi a cui il centrosinistra si era affidato parlavano di una forbice di almeno 4 punti percentuali a favore di Sala. Poi la sera del 5 giugno, alle ore 23, le prime proiezioni indicavano fino a 5 punti di differenza, con Sala in vantaggio. Infine la doccia fredda, con lo scorrere dei dati reali dei seggi scrutinati: 1.248 in tutto, e per i primi 700 Parisi è stato in vantaggio per un migliaio di voti. In poche ore il risultato si è ribaltato e la prima tornata si è chiusa con un sostanziale testa a testa, che lascia aperto l’esito del ballottaggio.
Il dato macroscopico di questo primo turno milanese è l’astensione rispetto alle amministrative del 2011: non è andato a votare il 13% della popolazione. Siamo al 54% di votanti contro il 67% di 5 anni fa. E ovviamente qui c’è la corsa all’interpretazione. Quella più attendibile è l’assenza alle urne di una certa sinistra, quella scontenta del governo e che poco si sarebbe identificata con Sala, mentre nel 2011 aveva supportato Pisapia. Per il centrosinistra questa fetta di elettorato potrebbe rappresentare addirittura il 10%. Per il centrodestra in questa fetta di elettori c’è invece anche una piccola ma significativa parte che ha semplicemente passato il week end fuori Milano.
L’analisi dei voti evidenzia un andamento dei partiti diverso da quello atteso e diverso anche dal resto del paese. Cresce leggermente il Pd, che nel 2011 aveva totalizzato il 28% e che quest’anno sfiora il 29%. Non sfonda la Lega, che nonostante le attese di un esplosivo 20% e di una leadership nel centrodestra, si ferma all’11%, concentrato soprattutto nelle zone periferiche. Sorprende invece Forza Italia, che a Milano arriva al 20%, mentre in altre città quasi scompare. Infine, il Movimento 5 Stelle qui non sfonda e non condiziona, si ferma al 10%, con un elettorato che sembra destinato a spacchettarsi al ballottaggio. La sinistra di Basilio Rizzo totalizza il 3,5%, che potrebbe incidere il 19 giugno. Quanto ai municipi, con il cambiamento della legge elettorale (ora maggioritaria) 4 vanno al centrosinistra, 5 al centrodestra; nel 2011 erano tutti del centrosinistra. La coalizione di Sala chiederà il riconteggio delle schede delle zone 4 e 5 (le periferiche a Sud).
Ieri Parisi ha giudicato «straordinario» il divario finale dello 0,9%, dato che «tre mesi fa non mi conosceva nessuno e sembrava impossibile arrivare al ballottaggio - ha detto -. Abbiamo iniziato la rigenerazione del centrodestra».
Sala sottolinea di essere in vantaggio, invitando gli elettori «a guardare chi ha il programma più simile». Parole rivolte al Movimento 5 Stelle e alla lista di sinistra Milano in Comune.
Rompe il silenzio anche il sindaco uscente Giuliano Pisapia: «Sono convinto che sia necessario parlare ai milanesi delle questioni che li riguardano direttamente. Credo che questa sia la ricetta migliore per far tornare alle urne quanti hanno deciso di non votare al primo turno».