«Voterei Raggi e Appendino», suggeriva ieri Salvini volendo orientare il voto leghista verso i 5 Stelle. O piuttosto volendo assecondare una tendenza già in atto. Il punto che questo invito è un’arma a doppio taglio. Avrebbe senso infatti solo se fosse reciproco, ossia se ci fosse uno scambio, un patto di desistenza tra i due partiti e i due elettorali ma questo non c’è. Ed è difficile che il Movimento possa rendere il favore in futuro.
Se oggi la Lega continua a prendere voti al Nord è solo perché l’insediamento grillino è ancora scarso. Ma domani, quando i 5 Stelle riusciranno a espandersi sui territori potrebbero cannibalizzare un voto che è già contiguo. Questo è il rischio per il Carroccio, finire da soli nella bocca dei veri avversari.
Ribattono da via Bellerio: è proprio la nostra presenza che impedisce e impedirà a Grillo di crescere. Ma questo – appunto - è vero oggi ma i successi elettorali danno la spinta a una diffusione sui territori sempre più capillare. E quello che sta accadendo. Solo un paio di anni fa non avevano una candidata forte a Torino e ora ce l’hanno. Non l’avevano a Roma e probabilmente vincerà. E dunque l’invito di Salvini potrebbe anche essere un errore fatale.
A maggior ragione ora che la Lega sembra più lontana dalle sue origini strettamente legate al Nord. Quello del giovane segretario è diventato un populismo un po’ spento sulla questione settentrionale e più acceso sulle grandi questioni nazionali. Una versione urlata che a questo voto amministrativo è andato male. E infatti per Salvini le elezioni sono state un flop. Da più punti di vista. Voleva un chiarimento nei rapporti di forza con Berlusconi. E non l’ha avuto. Anzi, il Carroccio è stato doppiato da Forza Italia a Milano, il leader leghista è stato umiliato dal sorpasso nelle preferenze della Gelmini, inoltre l’avventura nazionalista a Roma e al Sud è stata un fallimento. Insomma, Salvini deve abbassare le penne a Milano e a Roma esce spiumato con una percentuale sotto il 3 per cento.
Fallisce quindi il braccio di ferro con il Cavaliere, fallisce anche la ricetta alla Le Pen e perfino i suoi fedelissimi lo accusano di aver alzato troppo i toni in un Paese tendenzialmente moderato. E chi ne ha approfittato? Esattamente quelli che Salvini oggi consiglia di votare: i 5 Stelle. Che hanno saputo dare una versione moderata, soft, del populismo. Nessuna campagna anti-immigrazione, soprattutto non urlata. Marcia indietro sulla questione europea e dell’euro, prove di sintonia con il Vaticano sui diritti civili, parole più convincenti sulle piccole imprese che era il terreno di “caccia” della Lega. Infine slogan più efficaci sulla casta. Insomma, la formula populista dei 5 Stelle ha surclassato quella della Lega e l’aiutino che oggi gli dà Salvini rischia di creare un flusso di voti stabile verso il Movimento che è esattamente il competitore più contiguo al Carroccio.
Dicono che questo endorsement di Salvini è per creare un asse forte anti referendum e battere Renzi. Ma sarà davvero così? Davvero i 5 Stelle saranno cosi sprovveduti da fare una campagna che li svantaggia? Infatti è proprio il combinato disposto della riforma costituzionale con l’Italicum che è tagliato su misura per loro, per una forza politica che non vuole alleanze e vuole affermarsi da sé. Il contrario di ciò di cui ha bisogno la Lega che da sola non va da nessuna parte. A quanto pare neanche a Milano dove si dice che se vincerà Stefano Parisi di certo parlerà con Roberto Maroni, non con Salvini.
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