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I bilanci delle città metropolitane prima grana per i futuri sindaci

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Politica

I bilanci delle città metropolitane prima grana per i futuri sindaci

Appoggiare la bottiglia di champagne con cui si è festeggiata la vittoria nelle urne e mettersi a lavorare al fallimento dell’ente che si sta iniziando ad amministrare non è esattamente il massimo delle prospettive. Per chi è in corsa nei ballottaggi delle grandi città, da Milano a Torino, da Roma a Napoli, il rischio però è concreto.

In questi casi chi si siede sulla prima poltrona del Comune diventa anche sindaco della Città metropolitana, che con la riforma Delrio ha sostituito le Province nei centri più grandi: e i bilanci delle Città metropolitane sono a un passo dal baratro.

Il problema, che le Città condividono con le Province, nasce dal fatto che i tagli miliardari imposti in vista dell’alleggerimento dei costi sono arrivati molto prima rispetto agli spostamenti effettivi del personale, che avrebbe dovuto spostare le spese nei nuovi enti di destinazione degli «esuberi» ma solo in queste settimane sta arrivando davvero al traguardo. Otto delle dieci Città nelle regioni a Statuto ordinario hanno sforato nel 2015 il Patto di stabilità, e quest’anno devono secondo la legge pagare una sanzione, tradotta in tagli di risorse, equivalente alla distanza che ha separato gli obiettivi di finanza pubblica del 2015 e i risultati reali scritti nei bilanci. Solo Virginio Merola e Lucia Borgonzoni, che fra due domeniche si contenderanno la vittoria a Bologna, possono ignorare il problema, perché il capoluogo emiliano e Reggio Calabria (dove però non si vota) sono le uniche ad aver rispettato i vincoli di finanza pubblica.

Nel quadro più che precario disegnato dai bilanci attuali delle Città, la sanzione in arrivo (quasi 400 milioni per un gruppo di enti che supera di poco il miliardo di entrate tributarie) sarebbe più che sufficiente per far alzare bandiera bianca. Il governo lo sa, al punto che ha accordato a Città e Province il rinvio a fine luglio dei termini per approvare i preventivi 2016, ma le proroghe da sole non bastano. In cantiere da settimane c’è un nuovo decreto enti locali che dovrebbe metterci una pezza azzerando le sanzioni, senza rischi per la finanza pubblica perché dal canto loro i Comuni hanno superato abbondantemente i loro obiettivi e hanno messo in cascina molto più fieno del previsto. La strada verso l’approvazione si è arrestata in vista delle elezioni, la temperatura politica salita dopo i risultati del primo turno impone di fatto di allungare lo stop, e se ne potrebbe riparlare nel consiglio dei ministri successivo al ballottaggio.

Nemmeno la pezza, però, è una soluzione vera. Il problema è parecchio più profondo, ed è creato dal cortocircuito fra fra l’enfasi che ha circondato l’avvio delle Città metropolitane e l’assenza di decisioni reali sugli strumenti per farle partire davvero. La riforma della Costituzione che aspetta il referendum di ottobre cancella le Province dal vocabolario istituzionale, ma mantiene le Città perché sono un ente nuovo nato con l’obiettivo dichiarato di sviluppare la competitività e l’innovazione nei territori metropolitani. Ma con quali poteri? E quali risorse? Le campagne elettorali non ne stanno parlando, e il governo nemmeno: ma senza risposte a breve sarà la forza dei numeri a superare i tentennamenti della politica.

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