AMilano la competizione per la carica di sindaco ha ancora un sapore bipolare. Questo ci hanno detto i risultati del primo turno elettorale nel capoluogo lombardo. Sala è davanti a Parisi di meno di un punto percentuale (appena 5mila voti) e i due candidati assieme sfiorano l’83 per cento. Dai flussi elettorali che il Cise ha stimato tra il primo turno delle elezioni comunali precedenti e il primo turno delle attuali emerge che a Milano Sala, come Fassino a Torino, sia riuscito a raccogliere una quantità di voti significativa in uscita dai candidati di centrodestra: un quinto degli elettori della Moratti del 2011 ha optato per Sala (un elettore milanese su venti) e la stessa scelta è stata compiuta dal 40% degli elettori dell’allora candidato di centro Palmieri.
La strategia di “sfondamento al centro” sembra avere dato qualche frutto. Tuttavia ancora più sostanzioso sembra essere il prezzo pagato in termini di insoddisfazione della propria base. Infatti Sala, come del resto Fassino, ha perso più del 50% dei voti della propria coalizione cinque anni prima. A Milano però il prezzo più alto è stato pagato all’astensione: un terzo degli elettori di Pisapia non è infatti tornato alle urne nel 2016, mentre poco meno del 10% ha scelto il candidato del Movimento 5 Stelle, Corrado.
Nel centrodestra buona prova di Parisi che riesce a riportare alle urne quasi due terzi degli elettori della Moratti (63%) e intercetta un quarto dei voti di Palmeri e Calise. Interessante poi rilevare come i voti del candidato del Movimento 5 Stelle provengono per oltre la metà da Pisapia e circa un quinto dagli astenuti del 2011.
Passando a Bologna, Merola conferma poco più della metà dei propri elettori del 2011 (52%), mentre uno su cinque si astiene ed una quota non molto inferiore passa a Bugani del Movimento 5 Stelle (12%). La coalizione di centrodestra a Bologna sosteneva la candidatura di Lucia Borgonzoni che però veniva sfidata dal candidato di Pdl e Lega del 2011 che si è presentato con una propria lista civica. Bernardini sembra aver mantenuto una quota di voti piuttosto bassa rispetto alle precedenti comunali (13%) mentre poco più di un terzo è rimasto fedele al centrodestra votando la Bergonzoni.
Nel capoluogo emiliano il tasso di fedeltà maggiore rispetto alle comunali del 2011 è stato quello del Movimento cinque stelle. Bugani, che già aveva corso per la carica di sindaco 5 anni prima, conferma circa sei elettori su dieci che costituiscono circa la metà dei voti ottenuti in questa tornata. Anche qui una metà dei voti del M5S proviene dagli elettori del centrosinistra 2011.
Infine Napoli rappresenta un caso sui generis per via della presenza della figura di De Magistris che rende difficili le analogie con le altre città. Il sindaco uscente fa rilevare un tasso di riconferme che è il più alto tra tutti i capoluoghi considerati. Comunque solo i due terzi degli elettori di De Magistris del 2011 sono tornati a votare il proprio sindaco e uno su cinque sembrerebbe non essersi recato alle urne. De Magistris pesca poi a 360 gradi: un quarto degli elettori del centrosinistra e una quota analoga dal centro. Infine si rilevano flussi significativi in entrata da Lettieri e dal bacino del non voto (entrambi 7%).
Nel centrodestra, Lettieri fatica a riportare alle urne i propri elettori: oltre il 40% di chi lo aveva premiato nel 2011 non è tornato al seggio domenica, mentre appena il 30% gli conferma il proprio voto. Un quadro simile a quello che si osserva per la candidata di centrosinistra Valeria Valente: pressoché identica la fedeltà degli elettori di area del 2011, cede poi un po’ meno verso l’astensione (31%, esattamente come a Milano), ma molto di più verso De Magistris (un elettore su cinque).
In conclusione da una sguardo d’insieme a queste tre città emerge una straordinaria volatilità. A cinque anni di distanza metà dell’elettorato ha cambiato voto. E questo non riguarda solo centrodestra e centrosinistra. Anche il Movimento cinque stelle, pur crescendo, ha perso per strada quote rilevanti del proprio nucleo originario. Persino De Magistris, che ha ottenuto 40mila voti in più di cinque anni fa, ha perso un terzo dei propri elettori. Certo in questi cinque anni molto è cambiato. Ci trovavamo allora in un quadro bipolare. In questo senso appare interessante rilevare come, nonostante l’espansione dell’offerta elettorale, la scelta più frequente di quanti hanno cambiato comportamento sia stata il non voto.