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Berlusconi, successione complicata dalla «fragilità» del…

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Politica

Berlusconi, successione complicata dalla «fragilità» del partito

  • –di Paolo Pombeni

In qualche misura era scritto: i partiti liquidi, personali, o come altro si voglia chiamarli hanno difficoltà a gestire la successione al fondatore. Il che è particolarmente vero se il fondatore resiste sempre all’idea di prendere davvero in considerazione il momento del passaggio delle consegne. Naturalmente è comprensibile, perché chi ha avviato un’impresa ha sempre il dubbio di non riuscire a trovare il successore in grado di portarla avanti senza soggiacere alle lotte che gli scateneranno contro i pretendenti esclusi.

Avendo a mente questo genere di storie, non ci si stupisce più di tanto per quel che sta avvenendo attorno al tramonto inevitabile del ruolo di Berlusconi: per quanto gli auguriamo umanamente una guarigione il più rapida possibile e ancora una lunga vita, il suo ciclo politico è chiaramente in fase di conclusione.

Ci si può interrogare se ciò coincida con la conclusione del ciclo della sua creatura, cioè di quel «partito dei moderati» che lui ha suscitato nella crisi della prima repubblica, intuendo che ci fosse la possibilità di creare un blocco elettorale alternativo al «progressismo» italiano (perché questa era la tradizione di quell’altro blocco che si fondava sulla coalizione fra le varie anime della sinistra italiana, da quella comunista a quella cattolica). In fondo si trattava di puntare su un bipolarismo mite, perché raccogliendo l’eredità dei vari moderatismi presenti nella storia d’Italia sarebbe riuscito a tenere sotto controllo la risorgenza di un’alternativa di destra radicale e così avrebbe costretto il fronte opposto a tenere sotto controllo la sinistra radicale se voleva essere competitivo alle elezioni.

Molti, sia sul versante degli analisti sia su quello dei politici di professione, ritengono che per quel bipolarismo mite non ci sia più spazio. Sicuramente la destra delle ruspe spinge verso una radicalizzazione della competizione e di conseguenza, perché in politica come altrove ogni proposta anima una speculare controproposta, a sinistra rinasce il mito dell’integralismo ideologico come sola risposta possibile. Tuttavia non si può fare a meno di osservare che il quadro è molto più complicato e non solo per l’esaltazione del nuovo «tripolarismo». Da quel punto di vista si intuisce già la proposta di dare vita a destra a un nuovo blocco «anti» a prescindere: anti Renzi, come ieri, con segno diverso, a sinistra il blocco era anti Berlusconi.

In realtà i dati della recente tornata elettorale mostrano una tenuta dell’area moderata e una incapacità della destra radicale di assorbirla nel suo gorgo barricadero. Anzi, laddove si ricostituisce come a Milano il centrodestra con le vecchie caratteristiche degli inizi berlusconiani, quel blocco ha ancora molte carte da giocare.

In questo contesto la fragilità di Forza Italia e del gruppo di potere berlusconiano impressionano. Non è solo questione della lotta in corso, più o meno sotterranea, fra i vari colonnelli dello stato maggiore del partito. Anche quello è di suo un fenomeno ricorrente nei partiti politici e basterà un’occhiata alle lotte intestine al Pd per rendersene conto. Il fatto è che in questo momento Berlusconi paga la scelta di non avere mai voluto strutturare il suo partito. La conseguenza è che manca un luogo in cui le lotte di fazione possano venire incanalate in una dialettica in qualche modo istituzionale. Perciò è tutto un susseguirsi e intrecciarsi di circoli più o meno magici, di ruoli di «consiglieri» che non si sa quanto siano frutto di autoassegnazioni, di circoli di amici delle varie ore, e persino di una specie di «corte domestica» che fa più satrapia orientale che cenacolo politico.

A complicare la situazione è il fatto che nessuna di queste componenti del mosaico sembra in grado di imporre che la competizione avvenga attorno ad alcuni temi che siano al tempo stesso unificanti e capaci di conferire identità al movimento. Non è un caso che alla fine tutto si riduca alla proclamazione di mantra antirenziani, dimenticando che quando i loro avversari erano costretti ad agire così trincerandosi dietro quelli antiberlusconiani non è che abbiano avuto grande fortuna. Non a caso la loro riscossa è arrivata quando un giovane leader ha chiuso nell’armadio quel vecchio armamentario. Ma in quel caso, bene o male, c’era l’istituto delle «primarie» che incanalava la competizione. Forza Italia non può sostituirlo con le baruffe nell’anticamera di un ospedale.

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