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Viaggio nell’ospedale dei bambini dove la salute fa i conti con la…

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centro oncoematologia pediatrica di padova

Viaggio nell’ospedale dei bambini dove la salute fa i conti con la mancanza di fondi

«Questo è un centro di eccellenza con le pezze sul sedere». Da un uomo elegante con il ciuffo bianco dei capelli perfettamente pettinato e un contegno sabaudo come il professor Giuseppe Basso non ti aspetteresti immagini così crude e senza un grammo di ipocrisia. Ma varcare la porta di un reparto di oncoematologia pediatrica è come superare un confine invisibile in cui tutto si semplifica. Compresi gli zigzag tra verità e finzione nei quali finiscono per eccellere tutti i sani o coloro che si credono tali.

La costruzione di mattoni rossi protetta dalle vecchie mura di Padova è un luogo da visitare in religioso silenzio. Qui ogni giorno e ogni notte un manipolo di medici (poco più di una dozzina, di cui sei pagati da privati) e una trentina di infermieri lottano corpo a corpo per strappare alla morte da leucemia o tumori solidi lattanti, bambini e ragazzini fino a 18 anni. Una guerra dove tutti i colpi sono ammessi e le baionette hanno l'odore acido e l'aspetto severo di flaconi chemioterapici ripieni di liquidi giallognoli. Nei casi disperati, quando le cure non funzionano e il paziente recidiva, si ricorre a quella che qualche genitore chiama l'opzione nucleare, l'ultima arma: il trapianto di midollo osseo. Si asfaltano con un bombardamento millimetrico tutte le cellule malate e si trapiantano quelle sane.

Ci sono 28 posti letti, ma ne servirebbero almeno il doppio. Ogni mattina al day hospital si presentano dai 60 agli 80 bambini in cerca di cure o in terapia. «Siamo in overbooking - scandisce Basso - con più di una mezza dozzina di bambini in lista d'attesa». Quello di Padova è l'hub oncoematologico dell'intero Nordest: la metà dei bambini malati arriva da fuori regione: Friuli, Trentino, ma anche Campania, Calabria, Puglia e persino dal Venezuela o da qualche paese del continente africano. Ed è sempre a Padova che sono validati tutti i referti dei bambini italiani che si ammalano di leucemie linfoblastiche e mieloidi.

Le terapie possono durare due o tre anni. All'ingresso del reparto ci sono le targhe che riportano i nomi dei benefattori – piccoli e grandi imprenditori del Nordest, dai Tabacchi ai Pagnan – che nella seconda metà degli anni 90 staccarono un assegno di un paio di miliardi di vecchie lire per la costruzione di questo reparto, con un risparmio del 30% del costo per strutture analoghe. Basso traduce il dato in metri quadrati: “Tre milioni di vecchie lire invece di otto”. Ha funzionato, ma è sulla replicabilità dell'operazione che si nutrono forti dubbi. Oncoematologia scoppia: c'è bisogno di spazio, di un reparto per gli adolescenti (“come si fa a far convivere un ragazzo che vuole ascoltare i Coldplay e un bambino che guarda i cartoni?” esemplifica Basso), di un nuovo reparto per il trapianto di midollo che abbia più dei sei posti attuali, poi servono almeno sette infermieri e psicologi.

Il primario tiene sulla scrivania il progetto per il nuovo reparto di trapianto del midollo: tre milioni di costo totale. Ai trambusti qui sono allenati “Viviamo perennemente sott'acqua, come dice elegantemente un mio collega per evitare altre metafore” . Cinque anni fa, di fronte all'innalzamento delle infezioni dei pazienti immunodepressi, Basso decide di rinnovare radicalmente l'impianto di areazione. E trasferisce temporaneamente il reparto altrove. La soddisfazione arriva a lavori terminati: “Nei primi sei mesi post ristrutturazione abbiamo risparmiato 800 mila euro di antibiotici e antimicotici”. I bambini, miracolosamente, non si ammalavano più. La morale? Bisogna investire. Se oncoematologia scoppia, pediatria è in una eterna emergenza. Luca Zaia, il governatore del Veneto che fece la sua prima e ultima visita in questo reparto all'alba del 2011, un anno dopo la sua elezione, forse farebbe bene a mettere in agenda un'altra gitarella. A Padova si discute inutilmente da anni se trasferire i reparti legati alla mamma e al bambino (compresa ostetricia) al Sant'Antonio, l'ex Cto di via Facciolati. Tavoli, contro tavoli, tavolicchi. Ma nulla si decide, forse in attesa del nuovo megaospedale, la cui prima pietra – Zaia dixit – sarà posata nel 2019 per spianare la strada alla rielezione di Massimo Bitonci, sindaco patavino e leghista come il governatore. Sospetti. Ma con i sospetti non si curano i bambini leucemici in lista di attesa, non si assumono infermieri e psicologhe, non si costruisce il nuovo centro trapianti.

Dai tempi di Zanesco la cura contro la leucemia ha fatto progressi enormi: “Oggi, a differenza che negli anni '90, le guarigioni sfiorano l'80 per cento. Significa che i ragazzi che curiamo si sposano, si laureano, mettono al mondo dei bambini”, dice Basso come se parlasse di figli suoi. Figli che ha immortalato in un calendario fotografico in cui sono stati ritratti volti raggianti di donne. Devi aver guardato la morte in faccia per amare la vita? Stupisce che la gallery fotografica sia una successione di volti femminili: “I maschietti – racconta Basso – si sono tutti sottratti al mio invito a farsi fotografare“. C'è chi guarisce e chi si ammala: i malati sono in aumento. L'Italia è nelle posizioni di testa di questa triste classifica, con 156 malati per milione, molto di più che in Germania o Olanda. “È una questione genetica” sentenzia il primario mentre attraversa i reparti. Al suo passaggio tutti sorridono. Lui scherza, rincuora, semina battute, abbraccia Lucrezia, una ragazzina di 17 anni appena trapiantata che sta festeggiando il suo compleanno e sventola i regali, una felpa e un paio di pantaloni. La veterana del reparto, l'ematologa Caterina Putti, camice bianco e treccia nera, ricorda che chiunque sia passato da qui non può fare a meno di tornare: “A molti può sembrare strano, ma questo luogo dà sicurezza”. La Putti ricorda i tempi pioneristici di Zanesco (“l'unico uomo di cui mio marito non era geloso”), il rapporto con il dolore, il continuo lavoro psicologico con i genitori dei bambini (“a differenza di quanto accade altrove, a oncoematologia il coinvolgimento emotivo è obbligatorio”). Tutti, in questo reparto, vivono l'immersione nel dolore e l'altalena tra disperazione e il ritorno alla vita con il sorriso sulle labbra. Basso stringe i pugni e racconta di quelle statistiche più che incoraggianti sulle guarigioni che spesso tralasciano le centinaia di bambini che non ce l'hanno fatta. Matteo, con la faccia da bambolotto, se ne sta raggomitolato sul suo letto mentre guarda i cartoni sul tablet (“ha cinque anni ed è alla quinta recidiva” sussurra il primario). Il professore lo saluta e lui risponde con il sorriso stanco di chi ha interrotto i collegamenti. Il primario si allontana e dice: “Solo un miracolo può salvarlo, ma in quarant'anni di professione di miracoli non ne ho mai visti”.

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