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Opzione «Rita» con l’integrativa

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Opzione «Rita» con l’integrativa

Nessun ridimensionamento della legge Fornero, i cui requisiti di legge non verranno modificati. E neppure una riduzione del raggio d’azione dell’Inps, destinato a diventare il “front office” dell’Ape, l’Anticipo pensionistico. L’obiettivo del piano che sta mettendo a punto la cabina di regia economica di palazzo Chigi, guidata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, d’intesa con i tecnici del ministero del Lavoro, resta quello di rendere più flessibili le uscite degli “over 63” facendo leva su strumenti finanziari, ovvero sul meccanismo del “prestito” da banche senza garanzie reali del beneficiario e con una copertura assicurativa sull’ipotesi di premorienza.

L’onere dell’opzione Ape sarà duplice: da una parte la penalizzazione implicita di chi sceglie di interrompere i versamenti contributivi e di fissare così il montante finale per il calcolo della pensione a regìme, l’altro determinato dal tasso di interesse sul prestito ottenuto su uno, due o tre anni di anticipo. Un onere, quest’ultimo, che sarà abbattuto con un piano di ammortamento alleggerito, a seconda della tipologia e del reddito del beneficiario, da una detrazione fiscale modulare. Che sarebbe più elevata per alcuni soggetti più deboli e meritevoli di tutela.

Come già anticipato dal Sole 24 Ore l’ammortamento (la restituzione a rate del prestito) sarà ventennale. E l’operazione dovrebbe scattare, almeno nella prima fase, in via sperimentale per i nati tra il 1951 e il 1953 per poi aprirsi fino a quelli del 1955 e, solo successivamente, assumere una fisionomia strutturale.

Per abbattere almeno in parte il costo dell’anticipo bancario i lavoratori che hanno aderito a un fondo pensione potranno ricorrere alla cosiddetta «Rita», l’acronimo di «Rendita integrativa temporanea anticipata». Potranno cioè avere un anticipo del capitale cumulato prima delle decorrenza della pensione e utilizzarlo per “spesare” l’Ape. Opzione che vedrebbe penalizzati i dipendenti pubblici, visto che a fronte di 5,2 milioni di dipendenti privati iscritti a una forma di previdenza integrativa i colleghi del pubblico impiego sono solo 174mila (su 3,3 milioni). È poi probabile che lo schema Ape sarà differenziato per il lavoro autonomo, ma di questi aspetti nell’incontro di ieri non si è parlato.

Al secondo tavolo di colloqui con i sindacati si è confermato, invece, che le misure in cantiere sarebbero anche altre. Si è parlato, per esempio, di lavoratori esposti ad attività usuranti. Siccome lo schema attuale ha troppi paletti che rendono selettiva l’uscita con requisiti più lievi per chi svolge mansioni faticose, l’ipotesi è di avviare una semplificazione tenendo conto anche della dotazione del fondo residuo. Si affronterà - è stato detto dal ministro Poletti - anche il problema dei cosiddetti “lavoratori precoci”, coloro cioè che hanno iniziato a versare contributi molto presto e che si sono visti innalzare di molto i limiti per la vecchiaia. E si è parlato anche di una semplificazione dei meccanismi di uscita con ricongiunzioni da rendere non onerose, un’ipotesi quest’ultima che è contenuta anche nella proposta di riforma fatta un anno fa dall’Inps.

Restano sullo sfondo, almeno per il momento, altri temi contenuti nelle piattaforme sindacali e che riguardano non i lavoratori ma chi è già pensionato: si va dal miglioramento dei trattamenti più bassi al recupero delle indicizzazioni non rimborsate con il decreto dell’anno scorso. Temi molto onerosi e che potranno essere affrontati, come è evidente, nel quadro delle compatibilità di finanza pubblica che verranno fissate con la legge di Bilancio in ottobre.

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