Il segnale “politico” per il governo Renzi si era appalesato con chiarezza al primo turno delle amministrative, e lo avevamo prontamente evidenziato, adesso rimbomba con ancora maggiore forza e certifica quanto pesino la fragilità della ripresa e il disagio sociale nell’urna. Il nemico comune da battere è la mancata crescita e per costruirla, in Italia e in Europa, in un mondo che rallenta e pieno di incognite, bisogna dimostrare di sapere fare le cose difficili. Il risultato del voto amministrativo, piaccia o no, da Roma a Torino, per non parlare di Napoli, ci consegna questo “dato politico” e non basta a mitigarlo neppure la vittoria di misura a Milano con un’amministrazione uscente che ha ben governato e in un momento d’oro riconosciuto in casa e fuori per la nostra capitale economica.
Questo Paese non si può permettere una nuova stagione di instabilità politica, alla vigilia di un appuntamento di portata storica come è quello del referendum inglese su Brexit, ma non si può neppure permettere una stagione di stabilità politica di governo che non si sporchi le mani con le cose difficili, non faccia atti concludenti per liberare il Paese dai macigni di una pubblica amministrazione opprimente e di una giustizia civile dai tempi eterni e non riesca a restituire un sentiero di certezze dove la stabile e finalmente strutturale riduzione dei prelievi fiscali e contributivi si accompagni a un’azione “politica” incisiva sui terreni della spending review e, in genere, della spesa pubblica allargata, nazionale e territoriale. Senza fare questo, anche nello scenario migliore che è ovviamente quello che Brexit non passi, il governo italiano brucerebbe il capitale accumulato con la riforma del mercato del lavoro, i primi interventi fiscali e sulla macchina dello Stato, l’impronta meritocratica e il cammino intrapreso sul piano istituzionale (contrappesi e aggiustamenti necessari compresi). Finirebbe delegittimato nell’azione altrettanto ineludibile di un cambiamento in profondità dell’Europa che vada verso un assetto federale, una difesa comune e, soprattutto, una politica finalmente di crescita e solidaristica senza la quale è impossibile ritrovare lo spirito dei Fondatori e restituire al Vecchio Continente il ruolo che merita nell’arena della competizione globale. Mancare questa opportunità per colpa nostra è davvero imperdonabile se si pensa che tutto congiura a favore di un’Italia che recuperi non solo un ruolo di capofila dei Paesi periferici ma anche un suo peso specifico in Europa nel dialogo con la cancelliera Merkel, la Commissione europea e la stessa Bce. Dipende solo da noi: nel senso che solo noi possiamo gettare alle ortiche questa irripetibile occasione.
Non intendiamo qui dilungarci in disquisizioni più strettamente politologiche: la questione interna del Pd e l’esigenza da ambo le parti di recuperare coerenza d’azione, spirito di partito e tratti costitutivi, il peso dei movimenti cosiddetti populisti che nel caso dei cinque stelle alternano competenze inattese e spinte demagogiche ma dentro un ancoraggio civico che non va sottovalutato, gli scenari di Roma e di Milano che mostrano plasticamente in senso opposto come e quanto pesino disagio sociale, inefficienza amministrativa e malaffare rispetto alla tenuta degli schieramenti storici di centrodestra e di centrosinistra. Potremmo proseguire e il giornale offre analisi puntuali richiamate a fianco.
Il punto dirimente, però, è un altro. Il dato politico che emerge da questa consultazione è evidente: la buona governabilità viene prima del referendum costituzionale di ottobre e, se si vuole vincere questa partita, bisogna avere il coraggio di dire la verità, coinvolgere e pretendere da tutti, dentro e fuori il Pd, dalle parti sociali e nelle pieghe della società, una direzione riformistica fatta non di una tantum ma di cose che restano, che si possano toccare e esigere, non quelle semplici, ma quelle difficili con le quali tutti si sono scontrati e che nessuno è riuscito a fare. La fiducia contagiosa e duratura, quella che permette a un Paese di girare pagina per davvero e di tornare a dare lavoro qualificato ai suoi giovani migliori, passa di qui, si misura sul terreno della produttività e sulla ripresa degli investimenti. Non esistono scorciatoie per nessuno. A ben vedere, è questa l’altra grande occasione da cogliere.
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