Se non è un trionfo poco ci manca: dal punto di vista mediatico più che da quello sostanziale, perché i Cinque Stelle vincono in due grandi città, ma nelle altre tre sotto i riflettori (Milano, Bologna, Napoli) sono rimasti fuori dai ballottaggi. Tuttavia questa volta la battaglia simbolica domina su tutto perché consacra il M5S come il partito dell’alternativa: quando si cerca un nuovo equilibrio di potere il voto va lì. Poi dovrà dimostrare di essere all’altezza del compito che si fa assegnare, e non sarà così facile. Roma e Torino presentano delle similitudini maggiori di quelle che si possono cogliere a prima vista, poiché la capitale paga anni di sfascio nella gestione del Comune, cosa che non si può dire per la città sabauda. Eppure a Roma un candidato come Giachetti non è riuscito a convincere che era meglio affidarsi a lui che conosce la macchina amministrativa piuttosto che ad una candidata che non è che nella campagna elettorale abbia dato prova di grandi capacità propositive. È il segno che una quota rilevante di opinione pubblica ritiene che della “competenza” della vecchia classe dirigente non sa che farsene. Altrettanto è successo a Torino.
Bisogna riconoscere che il M5S almeno in queste due realtà ha saputo cogliere bene e per tempo questo cambio di sentimento popolare. Non è stato dovunque così, perché non si può dimenticare che a Bologna per la volontà di affidarsi a un proconsole locale il movimento ha sprecato l’occasione, a portata di mano, di andare al ballottaggio, mentre a Milano e a Napoli non è neppure stato capace di realizzare una efficace presenza di immagine.
Il buon risultato nelle due piazze principali è dovuto anche a un cambio di passo comunicativo dei vertici nazionali, che hanno capito che sono finiti i tempi del “vaffa …”. La loro presenza mediatica è stata studiata accuratamente e senza distaccarsi del tutto dai canoni protestatari che li hanno portati al successo, hanno messo ogni attenzione nel combattere l’immagine di quelli che sono puramente degli utopisti con scarsa capacità di cogliere i problemi reali.
A Roma naturalmente le condizioni per vincere erano state servite loro su un piatto d’argento anche se il distacco notevole tra Raggi e Giachetti testimonia di una raccolta trasversale del voto che non era poi scontata. Invece la “santa alleanza” ha funzionato: in fondo il bipolarismo alternativo e radicale imperante da decenni ha spinto in quella direzione.
Anche a Torino i Cinque Stelle hanno messo in campo in maniera più diretta l’immagine di un’alternativa generazionale a un grumo di potere: diventerà la loro carta vincente nelle future competizioni solo che sappiano raffinarla. Questa è però l’incognita che lasciano sul terreno, perché realizzare l’operazione, che comunque richiede di essere poi all’altezza del compito di governare, significherà rivedere equilibri interni e abbandonare impostazioni tradizionali. Non facile, ma sull’onda del successo forse meno difficile di quanto fossero ieri.
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