«È stato un voto di cambiamento non di protesta». Renzi e Grillo usano le stesse parole e, in effetti, la Raggi e la Appendino incarnano – oggi – quello che Renzi era alle europee del 2014.Un’aspettativa di cambiamento, non già un cambiamento. La rottamazione contro lo tsunami: ma il rischio per entrambi è di restare vittime di uno slogan.
La realtà è stata più forte del renzismo, l’ha risucchiato in quelle che sono le condizioni date. Dalla pubblica amministrazione agli scandali bancari, la bassa crescita e la disoccupazione, le divisioni nel suo partito. E contro questa realtà che ha assorbito tutti i difetti del passato, le ricette sono state un copia e incolla proprio del passato. Come l’abolizione della tassa sulla casa che non ha funzionato. Perché ha evocato esattamente quello che è stata la politica italiana degli scorsi anni che ha giocato al tira e molla con l’Ici, poi con l’Imu e poi con la Tasi. Come le luci di Natale questa tassa spariva e poi ricompariva. Un simbolo fortemente compromesso nell’immagine popolare.
Un giovane leader che riprende le vecchie ricette: forse, anche questa è la delusione di un’aspettativa di cambiamento. Un pool di trentenni a Palazzo Chigi avrebbero potuto cercare un simbolo meno logoro se non altro per dare l’impressione di uno sforzo di progettualità, non un ritorno alle campagne elettorali di 10 anni fa. In fondo i volti nuovi si scelgono per ascoltare proposte nuove, per provare strade diverse e non battute.
E anche l’approccio al voto amministrativo ha ricordato quello che per anni hanno detto e ripetuto i segretari del passato: è un test locale non nazionale. Ma perché non dare peso al voto della Capitale? E di città come Milano, Torino, Napoli, Bologna? Luoghi che esprimono le tante declinazioni della realtà italiana, delle sue periferie, imprese piccole e grandi, professionisti e studenti. Forse da un giovane leader e da una classe dirigente nuova di zecca ci si sarebbe aspettata una maggiore ambizione a conquistarle. Anche il lanciafiamme che Renzi ha evocato per usarlo contro il partito, è l’espressione della mancanza di un’idea sul Pd. È solo terra bruciata ma non si vede il nuovo campo. Così come la scommessa sul personale politico in sostituzione dei rottamati è rimasta un po’ appesa, non ha portato alla ribalta personalità forti ma più di contorno.
Anche lo tsunami di Grillo nessuno sa ancora cosa significhi. Finalmente ora è messo alla prova. E le premesse non fanno ben pensare visto che Virginia Raggi sembra voler ripetere, anche qui, vecchi tic da vecchi politici. Come quello di dare garanzie di tutela ai dipendenti pubblici e ai tassisti, per esempio. Che non sembrano proprio gli avamposti del cambiamento ma piuttosto espressione di voti e consensi decisivi a Roma. E anche sul debito della Capitale, non basta evocare i danni di chi c’è stato prima. Altrimenti i 5 Stelle diventano un “già visto”. Fanno quello che fece Giulio Tremonti nel 2001, quando davanti alle telecamere del Tg1 denunciò il buco di migliaia di miliardi che gli aveva lasciato il centro-sinistra. Che il debito c’è si sa, il punto è quali ricette diverse mettono sul tavolo gli innovatori.
Il rischio, insomma, è che sia Renzi che Grillo evocando il cambiamento ne restino poi vittime. Anche perché fanno scommesse sul breve termine e incentivano la volatilità di un giudizio popolare che, come si è visto, ha fretta e ansia di risultati. Per Renzi sono bastati due anni per vedere intorno a sé un clima totalmente mutato. Anche Ignazio Marino è stato “consumato” in pochissimo tempo e questo è un segnale per la Raggi e i 5 Stelle. Lo slogan del cambiamento va maneggiato con cura per non diventare un boomerang.
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