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Renzi: vittoria netta M5S, non voto di protesta

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SPECIALE ELEZIONI

Renzi: vittoria netta M5S, non voto di protesta

  • –Emilia Patta

ROMA - «Non è stato un voto di protesta, ha vinto chi ha saputo meglio interpretare il cambiamento». In questo la valutazione che fa Matteo Renzi il giorno dopo i ballottaggi che hanno visto trionfare a Roma e inaspettatamente a Torino le due giovani candidate grilline Virginia Raggi e Chiara Appendino coincide con quella di Beppe Grillo. E il premier e segretario del Pd, rispondendo alle domande dei giornalisti dopo aver ricevuto a Palazzo Chigi lo chef pluristellato Massimo Bottura, non nasconde la sconfitta. Pur ribadendo che si tratta di un voto locale che non impatta sul governo. «Confermiamo che il voto ha ragioni di forte prevalenza territoriale ma c’è un elemento nazionale: una vittoria netta e indiscutibile nei Comuni dei 5 stelle contro di noi». Ma chi pensava che Renzi avrebbe frenato, cercando l’accordo a tutti i costi con la minoranza del suo partito e ripristinando vetusti caminetti, resterà certamente deluso. La lezione del voto nelle città suggerisce piuttosto di accelerare, di essere non meno ma più innovativi, di puntare su una nuova classe dirigente locale anche in vista della campagna elettorale per il referendum confermativo sulle riforme di ottobre, che Renzi immagina capillare e concentrata sul merito. Anche durante il cdm si è discusso dei risultati elettorali e Renzi ha esortato i ministri a essere più grintosi nel difendere le riforme del governo.

“Venerdì, nella direzione del partito, il premier e segretario chiederà innanzitutto alla minoranza chiarezza sul referendum ”

 

Nella direzione del partito anticipata a venerdì, in cui ci sarà spazio per l’analisi del voto («faremo un confronto ampio e articolato, una discussione franca, a viso aperto»), il premier e segretario chiederà innanzitutto alla minoranza interna chiarezza sul referendum: il partito deve essere impegnato in favore del Sì, e subito dopo il congresso chiarirà i nodi politici che dividono maggioranza e minoranza. Ma proprio la vicinanza del referendum (mancano ormai solo tre mesi) suggerisce a Renzi di non esagerare col piglio rottamatore. Serve la collaborazione di tutti. L’investimento sul partito riguarderà soprattutto la segreteria: nuovi volti, incarichi e deleghe più “pesanti”, più autonomia politica per i membri della segreteria, rinnovamento profondo nel breve e medio termine della classe dirigente locale. Ma a parte qualche nuovo autorevole ingresso (si fa il nome del presidente del Lazio Nicola Zingaretti), i vertici del partito non saranno toccati: resteranno i due vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, resterà il presidente del partito Matteo Orfini che non si presenterà dimissionario neanche per quanto riguarda il suo ruolo di commissario a Roma. È la linfa periferica del Pd che deve essere rinnovata, fanno notare ai vertici di Largo del Nazareno, puntando sul «modello Milano» dove il partito «è innovativo e aperto al cambiamento». E il rinnovamento non è solo questione anagrafica, come dimostra il caso del nuovo sindaco Giuseppe Sala. «La vittoria di Milano ci indica la strada di lavoro giusta: un Pd forte, aperto e rinnovato in grado di costruire un’alleanza con le forze del centrosinistra e del civismo», sottolinea il ministro Maurizio Martina, uno dei maggiori sponsor di Sala pur non essendo renziano.

Quanto alla minoranza del Pd, la linea sarà decisa in una riunione giovedì pomeriggio nella sede del partito, il giorno prima della direzione. Pier Luigi Bersani, che si dice molto «amareggiato» dai risultati dei ballottaggi, fa sapere che parteciperà ai lavori della direzione contrariamente a quanto avvenuto le ultime volte. E c’è da credere che la lista dei «così non va» sarà piuttosto lunga. Mentre Gianni Cuperlo e Roberto Speranza rilanciano le richieste delle minoranza: bisogna cambiare l’Italicum introducendo le preferenze per tutti e il premio alla coalizione invece che alla lista, e occorre dividere i ruoli di segretario e di premier per poter meglio gestire il partito. Richieste irricevibili per Renzi (come spieghiamo nell’articolo accanto), che tuttavia sembra pronto ad aprire su alcuni punti: intanto mettere per iscritto subito, senza aspettare il risultato del referendum, la legge ordinaria di attuazione del Ddl Boschi sulle modalità di elezione del futuro Senato delle Autonomie - come richiesto più volte dalla minoranza - in modo da disciplinare con chiarezza la “scelta diretta” dei senatori da parte dei cittadini nell’ambito delle elezioni regionali. Un’apertura che ha l’evidente fine di togliere alibi alla minoranza sul referendum e di compattare il partito in vista dell’appuntamento cruciale della legislatura. La seconda apertura, stando a quanto trapela dai vertici del Nazareno, riguarda l’annuncio dell’avvio della stesura del regolamento del congresso che in questo modo potrebbe concludersi, con la celebrazione delle primarie, a gennaio-febbraio del 2017.

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