La notizia della vittoria del M5S a Roma e Torino ha fatto il giro del mondo e dei mercati ieri, perché rappresenta il primo trampolino di lancio dei 5 stelle per salire la scala politica, dal gradino locale a quello nazionale.
E per ambire a «governare il Paese perchè siamo un partito credibile» nelle parole del leader del movimento Luigi Di Maio. Essere credibili con l’elettorato in Italia non equivale però a ottenere credibilità sui mercati, e in particolar modo presso chi all’estero possiede il 25- 30% dei 1.880 miliardi di titoli di Stato italiani in circolazione.
Per gli investitori e trader esteri che detengono tra i 470 e i 560 miliardi di BTp, e che ci tengono a non perdere il capitale investito, il M5S è temuto per la sua forza distruttiva e non ancora apprezzato per le sue proposte costruttive: sulla stampa internazionale il M5S ha dominato ieri i titoloni dei giornali e dei siti come movimento «populista», «euroscettico» e «anti-establishment».
La conquista della credibilità sui mercati per un partito politico è un lungo percorso a tappe obbligate perchè gli investitori esteri sull’Italia (paese ultraindebitato con crescita gracile) si aspettano programmi credibili in termini di rafforzamento della crescita potenziale, risanamento dei conti pubblici, sostenibilità del debito pubblico con un impegno a ridurre la vulnerabilità agli shock esterni.
In attesa del voto su Brexit e delle elezioni in Spagna, gli stranieri detentori di BTp ieri hanno iniziato a indagare per capire quali siano le colonne portanti di un eventuale programma di governo del M5S. Un investitore che dall’estero intende piazzare il suo capitale in Italia, ed esporsi al rischio sovrano, vuole sapere come si comporterebbe il Movimento 5 Stelle se entrasse a Palazzo Chigi, come agirebbe al Governo su una lunga serie di temi “caldi”: il futuro dell’euro e dell’Unione bancaria, il rispetto dei vincoli di bilancio posti da Bruxelles; il servizio del debito pubblico; il nodo della spesa pubblica non produttiva e i tagli della spending review; le riforme strutturali; le privatizzazioni o il ruolo dello Stato nell’economia; le banche, la Borsa e un mercato dei capitali tutto da costruirsi; le liberalizzazioni; la politica industriale per trovare finanziamenti e strumenti nuovi a sostegno di Pmi, start-up, innovazione, ricerca, istruzione, formazione, rivoluzione tecnologica, ambiente, energia e telecomunicazioni.
Nel trovare risposte a questi quesiti, i mercati scopriranno ben presto che innanzitutto dovranno sciogliere un primo nodo: chi comanda veramente nel Movimento, se i moderati come Di Maio e i sindaci Raggi e Appendino oppure lo staff di Casaleggio e Beppe Grillo. Capire chi detta la linea nel Movimento, chi la definisce fin nei dettagli, è quello che hanno iniziato a fare già ieri i mercati all’indomani dell’esito dei ballottaggi sulle elezioni amministrative di Roma e Torino, per prepararsi a uno scenario potenzialmente destabilizzante: il referendum di ottobre con Matteo Renzi che perde e si dimette e il ritorno alle urne.
All’estero il M5S ha debuttato come partito anti-euro: fino a qualche mese fa perseguiva pubblicamente il progetto di indire un referendum in Italia ancor più clamoroso di quello britannico, non l’uscita dalla Ue ma addirittura dall’euro. Di Maio in una recente visita a Londra non ha incontrato Nigel Farage ma Jeremy Corbyn: ma il messaggio non è chiaro. All’estero il M5S è anche percepito come partito anti-banche, in un Paese bancocentrico come l’Italia la cui economia dipende quasi nella sua totalità dal credito bancario. Sul debito pubblico, i mercati non vorranno prendere per buone le provocazioni di Virginia Raggi che in campagna elettorale ha avanzato l’ipotesi di «romani che non pagano il maxi-debito».
I mercati sono risucchiati nell’immediato da Brexit e dalle elezioni spagnole: ma quando questa estate torneranno a occuparsi di rischio-Italia, lo estenderanno, e più di prima, al grado di credibilità del M5S.
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