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Dossier Sostenere la ripresa resta l’obiettivo strategico

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    Dossier | N. 123 articoliElezioni comunali 2016

    Sostenere la ripresa resta l’obiettivo strategico

    • –di Dino Pesole

    Nel complesso intreccio di variabili politiche interne (l’effetto dei ballottaggi sulla tenuta del Governo) ed esterne (referendum inglese di giovedì, voto spagnolo di domenica), il problema numero uno per Matteo Renzi, in attesa della prova decisiva di ottobre sul referendum confermativo della riforma costituzionale, si chiama ancora una volta crescita. Crescita tuttora ben lontana dai livelli che sarebbero auspicabili per lasciarci definitivamente alle spalle tre anni e più di recessione. Crescita e recupero di quote di produttività, in primis, per creare occupazione stabile e attivare quel circuito virtuoso che dalla recuperata fiducia di famiglie e imprese può trasformarsi in un vigoroso impulso alla domanda aggregata (consumi e investimenti).

    Già ma come provare a spingere l’acceleratore sulla crescita, quando tutti gli indicatori interni e internazionali virano verso una frenata? Sul versante delle politiche economiche nazionali, non pare esservi al momento altra strada se non quella di accelerare il percorso di approvazione e concreta realizzazione delle riforme strutturali. A partire dalla giustizia civile e dalla rapida attuazione della riforma Madia sulla pubblica amministrazione. Per i prospettati tagli al costo del lavoro, che secondo le ultime indicazioni potrebbero prevedere la stabilizzazione dei meccanismi di decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato, occorrerà attendere l’approvazione della prossima manovra di bilancio. Dunque attorno a metà ottobre. In quella stessa sede si potrà, quadro macroeconomico aggiornato alla mano, verificare se sussistano margini anche per anticipare al 2017 parte del taglio delle aliquote intermedie Irpef, in programma per il 2018. L’indebolimento politico del Governo determinato dal responso dei ballottaggi non pare però il miglior biglietto da visita per una strategia d’attacco da mettere in campo nell’immediato. Non ostacola l’accelerazione sul versante delle riforme. Si eviterebbe in tal modo il rischio di creare, da qui al voto di ottobre sulle riforme costituzionali, una sorta di «sospensione obbligata» in attesa del voto. Vuoto da evitare, anche perché la crisi politica che seguirebbe a un’eventuale vittoria del no al referendum costituzionale aprirebbe scenari dall’esito al momento alquanto imprevedibile.

    Ecco perché i mesi che ci separano dal giudizio elettorale di ottobre andrebbero utilizzati al meglio, per attivare riforme e investimenti, senza mollare il pressing (Brexit permettendo) sui partner europei (in primo luogo Francia e Germania) per provare a individuare una linea comune in direzione del maggior sostegno alla crescita.

    Ci si muove nel sentiero stretto degli impegni assunti in sede europea, e ribaditi in occasione del via libera da parte di Bruxelles, lo scorso 18 maggio, alla legge di stabilità con annessa flessibilità per lo 0,85% del Pil. Margine di bilancio che consentirà di chiudere quest’anno con un deficit al 2,4%, stando alle previsioni primaverili della Commissione Ue. Arduo ipotizzare ulteriori scostamenti, in presenza di un debito che il Governo prevede in discesa dal 132,7 al 132,4%, e che invece per Bruxelles comincerà a ridursi solo nel 2017. Gran parte delle chances di rilanciare la crescita si spostano così direttamente al prossimo anno, e dunque all’appuntamento autunnale con la manovra. I margini vi sono anche se non ampi, stante l’impegno a ridurre il deficit all’1,8%, il che comporterà una correzione nei dintorni degli 8 miliardi, con la manovra lorda che già viaggia verso i 20. Una coraggiosa spending review pare a questo punto decisiva.

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