ROMA - Archiviata la lunga partita elettorale il Governo torna a pedalare. Non solo metaforicamente, visto che già ieri pomeriggio un Consiglio dei ministri ha varato un decreto per salvare i conti delle città metropolitane. Fatti gli auguri di «buon lavoro» ai neo-eletti sindaci il premier non ha citato i dossier economici su cui da settimane sono impegnati i suoi tecnici insieme agli staff dell’Economia, il Lavoro e lo Sviluppo economico. Ma è da quei materiali, per il momento in piena fase di istruttoria, che uscirà il mix di interventi annunciati per rafforzare la crescita e rilanciare la produttività.
Sul fronte che più direttamente riguarda le imprese l’agenda l’ha dettata nei giorni scorsi il ministro Carlo Calenda: detassazione per sostenere il salario di produttività, sblocco della riforma del Fondo centrale di garanzia, contributi statali per esperti digitali da inserire nelle Pmi. Si tratta di misure che saranno inserite nella legge di Bilancio e che in parte saranno collegate al piano Industria 4.0 per la digitalizzazione della manifattura, il cui documento strategico arriverà già prima dell’estate.
Al suo esordio il nuovo ministro dello Sviluppo aveva parlato del riordino dell’attuale sistema degli incentivi, con il quale si potranno riallocare risorse per 3 miliardi a favore degli investimenti e la competitività. Un piano che arriverà in porto con la legge di Bilancio, appunto, fermo restando il taglio dell’Ires, già previsto nei tendenziali.
Sul fronte fiscale la partita si gioca tutta sulla riduzione delle imposte. Con la stabilità per il 2106 è stato approvato e “coperto” un taglio dell’Ires di 3,5 punti percentuali a partire dal 1° gennaio 2017. In questo modo il Governo punta a portare l’aliquota attuale dal 27,5% al 24% dell’imposta pagata dalle imprese ai livelli di tassazione europea e ridurre così il carico fiscale sul sistema produttivo di oltre 3 miliardi. Negli ultimi mesi, inoltre, il Governo sta studiando anche un anticipo del taglio della regina delle imposte, ossia dell’Irpef che grava sulle persone fisiche. Annunciato inizialmente per il 2018 a più riprese il premier Matteo Renzi ha ipotizzato un primo taglio delle aliquote Irpef già a partire dal prossimo anno. In questo caso l’attenzione dei tecnici si starebbe concentrando sulle aliquote intermedie del 27% e del 38% che colpiscono la classe media dei contribuenti Irpef. I costi dell’operazione, però, non giocano a favore di un anticipo, soprattutto poi se si devono sterilizzare le clausole di salvaguardia che gravano sull’Iva per oltre 16 miliardi.
Tornando alle misure per le imprese, bisognerà aspettare settembre, invece, per vedere i contenuti del decreto “finanza per la crescita 2”, il cui obiettivo come si ricorderà è quello di rafforzare i canali di finanziamento non bancario delle imprese anche con nuovi modelli di sostegno per le star up. In tempi più ravvicinati, ovvero al termine dei tavoli di confronto con i sindacati fissati da qui al 30 giugno, si potranno conoscere meglio i contorni delle misure elaborato per introdurre uno schema di anticipo pensionistico (Ape) disegnato senza toccare i requisiti di legge della riforma Fornero e che vedrà in coinvolgimento del sistema bancario per i prestiti necessari a finanziare l’assegno di uscita.
Sul fronte delle riforme in fase di implementazione i riflettori restano invece puntati in particolare sulla delega Madia. La scommessa per trasformare la Pubblica amministrazione da freno a fattore di sviluppo si gioca su due piani, che dal punto di vista dell’architettura normativa sono quasi completati ma devono giocare ora la partita dell’attuazione, e i risultati non sono scontati.
Il primo versante è rappresentato dal rilancio degli investimenti pubblici, mattone fondamentale per la crescita del prodotto interno lordo finora schiacciato dai vincoli finanziari. Le stime della ragioneria calcolano che la sostituzione del Patto di stabilità con la nuova regola del pareggio di bilancio “temperato”, introdotto per il 2016 dall’ultima manovra e ora in via di definizione strutturale con la riforma della legge 243/2012 in discussione al Senato, possa rilanciare del 10-15% gli investimenti dei Comuni. In valore assoluto si tratta di un miliardo e mezzo abbondante, da aggiungere al mezzo miliardo messo sul piatto per l’edilizia scolastica, ma sulla possibilità di arrivare davvero al risultato pesano le incognite del nuovo Codice appalti. Il problema non è nel merito delle nuove regole, ma nell’obbligo per le stazioni appaltanti di adeguarsi alla riforma e di rivedere tutte le procedure, che potrebbe allungare i tempi: in bilico c’è una quota delle risorse già sbloccate dalle amministrazioni locali, che potrebbero tornare a congelarsi se i progetti non arrivano all’aggiudicazione definitiva entro l’anno.
L’altro fronte è quello dei provvedimenti legati alla riforma Madia che provano a tagliare tempi e vincoli per far partire le opere pubbliche, soprattutto quelle considerate strategiche. Il quadro delle regole è quasi completo, dopo l’accordo con le Regioni sul regolamento che punta a dimezzare i tempi delle autorizzazioni, ma ovviamente un conto è scrivere nuove norme e altro conto è attuarle davvero. Questa seconda mossa è ancora tutta da compiere.
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