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Entro il 2016 anche i referendum «autonomisti» di Lombardia e Veneto

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Entro il 2016 anche i referendum «autonomisti» di Lombardia e Veneto

  • –Mariano Maugeri

Referendum sarà la parola chiave della seconda parte del 2016. Referendum al plurale, perché a quello sull’abolizione del bicameralismo voluto con tutte le forze da Matteo Renzi se ne sommeranno altri due che mobiliteranno Lombardia e Veneto, due regioni che insieme contano quasi 15 milioni di abitanti, un quarto della popolazione italiana.

Il tema, neanche a dirlo, è quello dell’autonomia, argomento carsico ormai ai margini del dibattito politico che però nelle due regioni in questione può contare su una maggioranza silenziosa e compatta di sfegatati sostenitori. I due governatori leghisti, Bobo Maroni - uscito ammaccato dalla candidatura come capolista alle comunali di Varese – e Luca Zaia lo sanno talmente bene che hanno deciso di coordinare le loro mosse affinché si arrivi a un election day in parallelo entro la fine di quest’anno. La Lombardia per voce e penna di Stefano Bruno Galli, consigliere regionale, allievo prediletto di Gianfranco Miglio e professore di Storia delle Dottrine politiche alla Statale, ha cercato in tutti i modi di forzare la mano e di abbinare il referendum consultivo sull’autonomia a quello costituzionale di ottobre. Ovvio il vantaggio, soprattutto alla voce costi (20 milioni sono stati già accantonati nel bilancio nel caso in cui il referendum si svolgesse senza abbinamenti di sorta). Non c’è stato niente da fare. La giurisprudenza sul punto sembra compatta: un referendum costituzionale non può trascinarsi nessun altro quesito che potrebbe disorientare il cittadino-elettore.

In questo caso, poi, il disorientamento sarebbe doppio: a una riforma statuale non certo di stampo federalista si contrapporrebbe un quesito (“Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni di autonomia?”) di segno opposto. Maroni e Zaia hanno provato a forzare la mano anche per coprirsi dagli eventuali rilievi della Corte dei conti. Al punto che Maroni - racconta Galli - era pronto ad aprire un tavolo di confronto con il Pd, quindi con l’opposizione, per valutare come impiegare i 20 milioni risparmiati nel caso in cui i due referendum si fossero svolti in un’unica data. Una mossa che non è servita a nulla. Così come finora pare non abbia sortito effetti la sparata di Zaia, che al ministro per gli Affari regionali Enrico Costa e al sottosegretario bellunese Gianclaudio Bressa ha detto chiaro e tondo che l’obiettivo del Veneto è un’autonomia sul modello altoatesino, con conseguente trattenuta del 90% dell’Irpef versata sul territorio. Immediata la frenata del governo, che ha ricordato a Zaia come la negoziazione sui quattrini da trasferire e i poteri debba rimanere all’interno dell’articolo 116 della Costituzione. “Uno spot”, bollano in Veneto l’iniziativa del governatore, un leghista di lotta e di governo che pianta i paletti di una trattativa spigolosa e ricca di colpi di scena. Maroni e Zaia dispongono di un argomento inoppugnabile a loro favore: il residuo fiscale (18,2 miliardi il Veneto, 53,9 miliardi la Lombardia) è diluito nel nome di una perequazione nazionale che impoverisce i ricchi e non sfama i poveri.

Mario Bertolissi, costituzionalista dell’università di Padova e patrocinatore davanti la Consulta delle due leggi venete impugnate dal governo sulla consultazione popolare (una, cassata, sull’indipendenza, l’altra sull’autonomia) ricorda che un referendum approvato equivale a un “atto costituente”. Significa che all’indomani della celebrazioni popolari, semmai fossero coronate dal sì, le due regioni aprirebbero un capitolo inedito nella storia della Repubblica italiana.

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