Da emergenza a opportunità. Un titolo esplicito: gli immigrati non vanno considerati solo sotto il profilo dei costi ma anche per i benefici che un loro adeguato inserimento può apportare alle economie occidentali. Italia compresa. Partendo dalla considerazione che una maggiore integrazione produce maggiori benefici.
È un tema su cui Confindustria si sta impegnando e proprio all’immigrazione è dedicato il rapporto del Centro studi, che sarà presentato oggi pomeriggio. Un’analisi ad ampio raggio, con un risvolto operativo, annunciato l’altro ieri dal presidente, Vincenzo Boccia: la firma, per la prima volta nella storia di Confindustria, con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, di un protocollo d’intesa per avviare iniziative comuni, con l’obiettivo di inserire nel lavoro i rifugiati, partendo da tirocini presso le imprese associate. «Le migrazioni internazionali non vanno affrontate né con timori né con barriere, sono un’opportunità sia per chi lascia il proprio paese in cerca di migliori condizioni di vita, sia per i paesi ospitanti, per lo più avanzati, dove l’invecchiamento demografico alimenta il conflitto di interessi intergenerazionale, minaccia la sostenibilità dei sistemi di welfare e rallenta il progresso economico», è la convinzione di Boccia, espressa nell’assemblea di Confindustria del 26 maggio, ribadita due giorni fa, all’assemblea degli industriali di Vicenza, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato.
Il grande deterioramento del quadro geopolitico in Medio Oriente ha molto accelerato l’afflusso di migranti verso l’Europa, tanto da farlo diventare una questione centrale per l’agenda politica dell’Unione europea. Su questo aspetto si sofferma uno dei capitoli del rapporto del Csc, diretto da Luca Paolazzi. Anche se i dati relativi al primo trimestre 2016 registrano un calo del 33% rispetto al quarto trimestre del 2015 (da 426mila a 287.100), resta l’incertezza sull’evoluzione dei flussi nei prossimi mesi. In Italia la gestione dei flussi dei rifugiati è resa ancora più complessa dalla sua posizione al centro delle rotte migratorie che passano per il Nord Africa. Tra il 2013 e il 2015 il numero delle richieste di asilo mensili è aumentato di oltre tre volte, passando da una media di 2.218 a 6.961. Un’impennata maggiore si è avuta in Germania, da 10.559 nel 2013 a 39.709 nel 2015.
La Ue regola solo parzialmente la gestione delle procedure di asilo, che resta in larga parte sotto la responsabilità dei singoli stati membri. Ci sono differenze su come viene inteso il principio di accoglienza, sull’implementazione delle varie forme di aiuto, dall’alloggio, vitto, vaucher e aiuti finanziari, salute, lavoro ed educazione. Divergenze si rivelano anche sui tempi necessari per trattare le domande di asilo e sui parametri applicati. E quindi emergono differenze nei tassi di accettazione, che si sono accentuate: nel 2015 le decisioni positive in Germania sono state del 57%, in Francia il 26%. In Italia il tasso di accettazione è stato del 42% (nel primo trimestre 2016 del 37 per cento). Anche all’interno del nostro paese ci sono variazioni, dal 75% del Friuli Venezia Giulia al 16% della Sardegna. Le domande di asilo provenienti dall’Afghanistan da noi hanno avuto il tasso di accettazione più elevato, i paesi con più alto numero di domande presentate sono Nigeria, Gambia e Mali. Per l’Italia la gestione degli stranieri giunti via mare è costata 3,3 miliardi nel biennio 2014-2015 per arrivi e accoglienza. Costi aggiuntivi, 1,6 miliardi, sono dovuti alle prestazioni sanitarie, all’apparato amministrativo, all’inserimento scolastico dei minori.
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