«Chi vuole davvero una Gran Bretagna piccola e isolata?» Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha proposto la domanda retorica ieri, giorno della vigilia del referendum inglese sulla permanenza o meno nell’Unione europea, con un intervento sul quotidiano Guardian, schierato sul fronte “Remain”. «Visto dall’Italia - ha scritto il premier - un voto per lasciare l’Europa non sarebbe un disastro, una tragedia o la fine del mondo per voi nel Regno Unito. Sarebbe peggio, perché sarebbe la scelta sbagliata». Un punto di vista che riflette la posizone dell’intero Governo italiano e che è stato ribadito ieri anche da Pier Carlo Padoan nel Question time alla Camera su Brexit: «Concordo sulla gravità della possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea - ha affermato il ministro -. Ci sono numerose analisi dell’impatto: alcune danno situazioni nelle quali sarebbe la Gran Bretagna a subire, soprattutto nel medio periodo, i danni più rilevanti».
Per Padoan come per Renzi, che nel suo testo sul Guardian ha anche tributato un omaggio alla parlamentare laburista Jo Cox uccisa da uno squilibrato al grido di «Britain first!», la questione non è l’uscita o meno dall’Unione europea ma la strategia da seguire per rafforzarla. «È uno strumento - che può essere migliorato - per trasformare le nostre debolezze in una forza comune» ha scritto tra l’altro Renzi, che ieri s’è confrontato telefonicamente con il numero uno della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Mentre per il ministro dell’Economia serve il «rilancio di una strategia complessiva a favore della crescita e dell’occupazione».
È un fronte sul quale l’esecutivo è impegnato dall’inizio del suo mandato, con proposte rese esplicite in varie istanze formali e non, in occasione di vertici bilateriali e che ha condotto all’adozione, lo scorso mese di febbraio, di un documento del ministero dell’Economia in cui si propone, tra l’altro, l’adozione di una nuova governance rafforzata perseguibile anche senza modificare i trattati. Un piano per uscire dai lunghi anni del rigore fiscale e orientato al rilancio dell’economia e delle politiche di welfare.
Il ministro Padoan ha colto l’occasione del dibattito parlamentare per ricordare quelli che, a suo dire, potrebbero essere considerati i cardini della strategia italiana di rilancio dell’Ue, da perseguire «a maggior ragione nell’eventualità, che io certamente non mi auguro, di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea». Il primo è il Piano Juncker per stimolare gli investimenti privati con un sostegno della mano pubblica: «Ha delle potenzialità che vanno sfruttate meglio - ha detto Padoan - ed è da considerare la possibilità di estenderlo nel tempo, ma anche geograficamente». Il secondo punto di attacco del piano passa poi per un rafforzamento del mercato interno «che va rafforzato a partire dal fronte dell’innovazione, in cui i vari elementi e segmenti di una politica in questo senso possono essere portati ad operare insieme». Infine la proposta di uno schema di assicurazione europea contro la disoccupazione ciclica, vero e proprio cavallo di battaglia per Pier Carlo Padoan, secondo il quale questo sussidio condiviso «potrebbe consolidare sia la crescita nel medio termine sia mitigare le necessità di aggiustamento nel caso soprattutto di un’Unione monetaria dove, a causa dell’assenza di un tasso di cambio, i costi di aggiustamento sono particolarmente pesanti sul mercato del lavoro».
Quale che sia l’esito del voto inglese di oggi la strategia europea del Governo ripartirà da questi punti, cui si aggiunge il “Migration Compact” - che l’Italia ha promosso e fatto circolare negli ultimi mesi e che è stato in parte ripreso nella recente Comunicazione della Commissione europea sul “Pacchetto migrazione”. A quest’ultima prospettiva è stata dedicata una riunione, sempre ieri a palazzo Chigi, del Comitato interministeriale per gli Affari Europei presieduto dal sottosegretario Sandro Gozi. Nel corso della riunione è tra l’altro emerso come abbiano una particolare rilevanza per l’Italia l’avvio in tempi rapidi di un consistente piano di investimenti in Africa, la pronta apertura di negoziati con i Paesi considerati prioritari, la messa a punto di un piano di azione europeo per i rimpatri ed un’ambiziosa riforma del sistema europeo di asilo (il cosiddetto sistema di Dublino).
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