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Una decisione in linea con i principi costituzionali

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l’analisi

Una decisione in linea con i principi costituzionali

Il deposito della sentenza della Cassazione che riconosce la stepchild adoption alle coppie gay arriva dopo neanche un mese dalla discussione in udienza della questione, ma al Palazzaccio sono stati giorni difficili, soprattutto per le continue incursioni esterne finalizzate a far rinviare la decisione, o a rimetterla alle sezioni unite, se non, addirittura, a modificare, limare l'orientamento del collegio, che già si profilava in favore dell'adozione del figlio del partner per le coppie gay; orientamento peraltro univoco nella giurisprudenza di merito, prima, durante e dopo la legge sulle unioni civili.

La settimana scorsa, la pressione politica è stata addirittura resa pubblica durante una conferenza stampa del Centrodestra, che ha rivolto un appello al primo presidente della Cassazione Gianni Canzio affinché la questione fosse tolta dalle mani del collegio giudicante della I sezione civile e trasferita, appunto, alle sezioni unite. Nella stessa conferenza stampa, peraltro, gli esponenti del centrodestra (da Ncd a Fi) rivelavano di aver inviato una lettera alla Procura generale della Cassazione prima dell'udienza del 26 maggio, sempre con la richiesta di far assegnare alle sezioni unite la questione. E sarà certamente un caso, ma in udienza, il 26 maggio, la Procura (rappresentata dal sostituto Pg Francesca Ceroni) ha cominciato la sua requisitoria proprio chiedendo l'assegnazione alle sezioni unite, in nome della “pace sociale”, e sostenendo che il giudice dovesse fare “un passo indietro” lasciando la parola al legislatore. Tra l'altro, voci ben informate del Palazzaccio davano la sentenza in uscita la settimana scorsa, ma poi sono state smentite.

Tutto questo per raccontare come sia stata complicata questa decisione: ma non sul piano giuridico, quanto su quello delle pressioni esterne, in un momento politico di estrema difficoltà soprattutto per la maggioranza di governo. C'è chi parla anche di pressioni da Oltretevere, dirette e indirette. Certo è che la Cassazione ha saputo dar prova di assoluta autonomia e indipendenza, e lo ha fatto usando gli strumenti che le sono propri, quelli del diritto, dell'interpretazione, della ragionevolezza, dell'attenzione alle norme di sistema.
Ora ci sarà sicuramente qualcuno che griderà alla supplenza, o alla creatività giurisprudenziale o, peggio, alla politicizzazione della Cassazione. Arrogandosi un potere che non gli spetta, perché se è sacrosanto commentare e anche criticare le sentenze, non lo è, invece, la pretesa di sostituire la propria visione del diritto - molto spesso di parte e arbitraria - delegittimando la magistratura.

Era davvero necessario rimettere la questione alle sezioni unite? Non risulta che vi sia un contrasto giurisprudenziale in atto. Sicuramente non tra i giudici di merito, che finora - sia pure valutando “caso per caso” - hanno ritenuto che l'articolo 44, lettera D, della legge n. 184/1983 - là dove parla di “adozione in casi particolari - sia applicabile anche a coppie gay conviventi stabilmente.

Né può sostenersi che vi fosse un contrasto in Cassazione perché, se è vero che nel 2013 la Corte sostenne che l'”adozione in casi particolari” ha come presupposto uno “stato di abbandono” del minore e l'impossibilità di un “affidamento preadottivo”, è anche vero che la Consulta (sentenza n. 383 del 1999) non ha dato quella lettura, anzi ha chiarito che la lettera D si applica in via generale, anche quando non ricorrono le condizioni del primo comma dell'articolo 7 (cioè la dichiarazione dello stato di adottabilità). «Il legislatore - ha scritto la Consulta - ha voluto favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti o le persone che già si prendono cura di lui, prevedendo la possibilità di un'adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella “legittimante”, ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest'ultima. Ciò è pienamente conforme al principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l'effettiva realizzazione degli interessi del minore».

Dunque, in questo quadro normativo e giurisprudenziale (cui si aggiungono i principi costituzionali, della convenzione e della giurisprudenza europea), perché mai il collegio presieduto da Salvatore di Palma avrebbe dovuto chiamare in causa le sezioni unite? La soluzione giuridica appariva pacifica, ovviamente sempre con riferimento al caso concreto. Perché è questo l'unico limite del giudice: verificare se la norma, interpretata in modo sistematico, può trovare applicazione nei casi concreti che gli vengono sottoposti, nessuno dei quali è sempre uguale all'altro.

Ciò non vuol dire che il legislatore non sia libero di dettare una diversa disciplina della stepchild adoption (ovviamente rispettosa dei principi costituzionali ed europei) assumendosene la responsabilità. Con la legge sulle unioni civili ha deciso di non farlo, per non far esplodere plasticamente le contraddizioni di questa maggioranza e per evitare che minacce e anatemi del Centrodestra venissero messi alla prova dei fatti.

Nel braccio di ferro (almeno apparente) tra Pd e Ncd-Ap ha vinto quest'ultimo con lo stralcio della norma sulla stepchild adoption, che però significa solo rinviare a un'altra legge la disciplina della materia. Insomma, il solito rinvio di chi non sa o non vuole assumersi la responsabilità di decidere per non scontentare la propria fetta di elettorato.

Peraltro, è bizzarro sostenere (come fa il centrodestra) tutto e il contrario di tutto. Da un lato, infatti, si afferma categoricamente che lo stralcio equivarrebbe alla decisione di vietare la stepchild adoption (di qui l'accusa ai giudici che, invece, continuano a riconoscerla); dall'altro lato, si presenta una richiesta di referendum per abrogare una parte della legge sulle unioni civili perché - si dice - “introduce tra le righe la stepchild adoption nell'ordinamento giuridico italiano”. Si mettano d'accordo con se stessi, evitando nel frattempo di sfasciare le istituzioni, delegittimandole.

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