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Governo battuto, segnale da Ala-Ap

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Governo battuto, segnale da Ala-Ap

  • –Barbara Fiammeri

roma

Un provvedimento politicamente innocuo, nell’ultima seduta che precede il week end è lo scenario in cui si è consumata la prima sconfitta post elettorale del governo di Matteo Renzi. Il gruppo dei verdianiani di Ala assieme a una parte dei centristi di Ap hanno votato l’emendamento del forzista Caliendo al ddl sulle misure contro il terrorismo che ha mandato sotto la maggioranza anche grazie alle numerose assenze, molte delle quali non giustificate, tra i banchi dei senatori del Pd.

Il segnale è stato lanciato. La maggioranza a Palazzo Madama traballa. L’emendamento dell’opposizione è stato approvato con 102 sì, 92 no e 4 astenuti. Tant’è che lo stesso capogruppo dem Luigi Zanda parla apertamente di «manovra politica». Che arriva dopo la presa di distanza di Renzi dai verdiniani e i mal di pancia tra i centristi, divisi tra chi vorrebbe al più presto uscire dalla maggioranza (vedi Schifani) e chi, come il leader di Ncd Angelino Alfano, rinvia la questione a dopo il referendum costituzionale di ottobre.

Anche le 33 assenze del Pd fanno riflettere, soprattutto perché pare che alcuni (7-8) abbiano deciso di abbandonare il loro scranno poco prima del voto. E se pure non possono essere imputate alla sola minoranza dem, coincidenza vuole che arrivino proprio alla vigilia della delicata direzione al Nazareno in cui Renzi oggi sarà chiamato a dare delle risposte dopo la debacle elettorale.

I protagonisti ovviamente minimizzano, come è d’uopo in questi casi. Nessun «pizzino di Verdini» (copyright del forzista Renato Brunetta) ma solo considerazioni «esclusivamente tecniche», relative alla non condivisione di una norma che prevedeva «solo sei anni per chi detiene e custodisce ordigni nucleari da utilizzare per fini terroristici». Ma a questa «considerazione» segue poi un avvertimento indirizzato apertamente al premier: «Renzi sappia che noi offriamo alla maggioranza intelligenze e professionalità, non certamente numeri».

Ma ancora più preoccupante per il governo è la presa di posizione di Ap, che è parte integrante della maggioranza. Non solo erano presenti solo 15 senatori su 31 ma di questi oltre la metà (9) ha votato con l’opposizione. «Nessun fatto politico ma squisitamente tecnico, e quindi nessun messaggio al governo», assicura il capogruppo di Ap Renato Schifani, che però è tra coloro che l’altra sera, in una accesa riunione con Alfano, ha detto chiaro e tondo che è ora di uscire dal governo e passare al cosiddetto «appoggio esterno» in vista del ritorno nei ranghi del centrodestra come avvenuto a Milano. Uno scontro destinato a giorni a ripetersi e dagli esiti incerti.

Il pressing su Renzi è fortissimo. L’obiettivo, tanto della minoranza dem che di verdianiani e centristi (coadiuvati da Forza Italia) è la modifica dell’Italicum. Nel mirino c’è in prima battuta il premio alla lista, che vorrebbbero trasformato in premio alla coalizione così da mantenere maggiori margini di autonomia (e di posti). Ma la convinzione è che qualora il referendum non passasse l’intera legge elettorale dovrebbe essere spazzata via, per far ritorno al più rassicurante proporzionale. «Se Renzi non cambierà l’Italicum, lo farà un altro premier», chiosava ieri la forzista Laura Ravetto.

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