Italia

Papa Francesco: «No alla balcanizzazione dell'Europa. Serve…

  • Abbonati
  • Accedi
sull’aereo di ritorno dall’armenia

Papa Francesco: «No alla balcanizzazione dell'Europa. Serve una nuova Ue»

(Afp)
(Afp)

Parla della Ue e del referendum che nel Regno Unito ha sancito la volontà popolare di uscita dalla Ue: vanno evitati i rischi di “balcanizzazione” dell'Europa, dice il Papa, che aveva commentato l'esito della consultazione già la mattina successiva, nel volo di andata da Roma a Yerevan., dicendo che andava garantita la convivenza tra i popoli. Nel viaggio di ritorno, come da consuetudine, Francesco risponde alle domande dei giornalisti accreditati, in particolare sulla visita in Armenia e sull'esplicito riferimento al genocidio del 1915 - che era presente nel discorso inizialmente diffuso alla stampa - che ha suscitato delle reazioni (previste) da parte della Turchia. Ma ha risposto anche su altri temi; considerati di stretta attualità per il papato. Di seguito un'ampia sintesi della conferenza stampa, tenuta poco fa sul volo.

Santo Padre, è preoccupato che il referendum su Brexit possa portare alla disintegrazione dell'Europa e anche alla guerra?
«La guerra già c'è in Europa. Poi c'è un'aria di divisione, e non solo in Europa. Si ricordi la Catalogna, l'anno scorso la Scozia... Queste divisioni bisogna studiarle bene e prima di fare un passo verso la divisione, bisogna parlare e cercare soluzioni percorribili. Non ho studiato quali siano i motivi per cui il Regno Unito abbia voluto prendere questa decisione. Ci sono decisioni si fanno per emanciparsi: ad esempio tutti i nostri paesi latinoamericani o quelli africani, si sono emancipati dalle colonie. Questo è più comprensibile, perché c'è dietro una cultura, un modo di pensare. Invece la secessione di un Paese, e non sto parlando qui del Regno Unito, ha dato origine a una “balcanizzazione”, senza parlare male dei Balcani. Per me sempre l'unità è superiore al conflitto, ma ci sono diverse modi di unità. La fratellanza è migliore delle distanze. I ponti sono migliori dei muri. Tutto questo ci deve far riflettere: un Paese può dire sono nell'unione europea, voglio avere certe cose che sono mia cultura.. Il passo che l' Unione deve dare per ritrovare la forza delle sue radici è un passo di creatività e anche di sana “disunione”, cioè dare più indipendenza e più libertà ai paesi della Ue, pensare a un'altra forma di unione. Bisogna essere creativi nei posti di lavoro, nell'economia: in Italia il 40 per cento dai 25 anni in giù non ha lavoro. C'è qualcosa che non va in quell'Unione massiccia, ma non buttiamo il bambino con l'acqua sporca e cerchiamo di ricreare. Creatività e fecondità sono le due parole chiave per l'Unione».

In Armenia ha parlato di fatti del 1915 definendo «genocidio» il Grande Male
«In Argentina quando si parlava di sterminio armeno sempre si usava la parola genocidio e nella cattedrale di Buenos Aires, nel terzo altare a sinistra, abbiamo messo un a croce di pietra ricordando il genocidio armeno. Io non conoscevo un'altra parola. Quando arrivo a Roma sento l'altra parola “Grande Male” e mi dicono che genocidio è offensiva. Io sempre ho parlato dei tre genocidi del secolo scorso: quello armeno, quello di Hitler e quello di Stalin. Ce n'è stato un altro in Africa ma nell'orbita delle due grandi guerre ci sono quei tre. Alcuni dicono che non è vero, che non è stato un genocidio. Un legale mi ha detto che è un parola tecnica, che non è sinonimo di sterminio. Dichiarare un genocidio comporta azioni di riparazione. L'anno scorso, quando preparavo il discorso per la celebrazione in San Pietro, ho visto che san Giovanni Paolo II ha usato la parola, e io ho citato tra virgolette ciò che aveva detto. Non è stato ricevuto bene, è stata fatta una dichiarazione del governo turco che ha richiamato in pochi giorni l'ambasciatore ad Ankara, ed è un bravo ambasciatore! È tornato alcuni mesi fa. Tutti hanno diritto alla protesta. Non c'era la parola nel discorso. Ma dopo aver sentito il tono del discorso del presidente armeno, e per il mio uso della parola, sarebbe suonato molto strano non dire lo stesso che avevo detto l'anno scorso. Ma venerdì scorso ho voluto sottolineare un'altra cosa: in questo genocidio, come negli altri due successivi, le grandi potenze internazionali guardavano da un'altra parte. Durante la II Guerra mondiale, alcune potenze avevano la possibilità di bombardare le ferrovie che portavano ad Auschwitz, senza farlo.

Nel contesto dei tre genocidi si deve fare questa domanda storica: perché non avete fatto qualcosa? Non so se è vero, ma si dice che Hitler quando perseguitava gli ebrei, avesse detto: “Chi si ricorda oggi degli armeni? Facciamo lo stesso con gli ebrei”. Ma la parola genocidio mai io l'ho detta con l'animo offensivo, ma oggettivamente».

C'è il Papa e c'è il Papa emerito. Ma allora ci sono due Papi?
«Benedetto sta nel monastero, pregando. Sono stato molte volte a trovarlo, ci sentiamo. Ho già detto che è una grazia avere in casa il nonno saggio. Lui per me è il Papa emerito, è il nonno saggio, è l'uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera. Mai dimentico quel discorso fatto ai cardinali il 28 febbraio quando disse: “Tra voi c'è il mio successore: prometto obbedienza a lui”. E lo ha fatto! Poi ho sentito, ma non so se è vero, dicerie su alcuni che sarebbero andati da lui a lamentarsi per il nuovo Papa e li ha cacciati via con il suo stile bavarese. Se non è vero, è ben trovato, perché è un uomo di parola, è retto. È il Papa emerito. Ho ringraziato pubblicamente Benedetto per aver aperto la porta ai Papi emeriti. Oggi con questo allungamento della vita si può reggere una Chiesa a una certa età e con gli acciacchi? Lui ha aperto questa porta. Ma c'è un solo Papa, l'altro è emerito. Forse in futuro potranno essercene due o tre, ma sono emeriti».

Il cardinale Marx (arcivescovo di Monaco di Baviera, ndr) ha detto che la Chiesa cattolica deve chieder scusa alla comunità gay per averli marginalizzati.
«Io ripeto il catechismo: queste persone non vanno discriminate, devono essere rispettate e accompagnate pastoralmente. Si possono condannare, non per motivi ideologici, ma per motivi di comportamento politico certe manifestazioni troppo offensive per gli altri. Il problema è una persona che ha quella condizione, che ha buona volontà e che cerca Dio. Chi siamo noi per giudicare? Dobbiamo accompagnare bene, secondo quello che dice il Catechismo. Poi ci sono tradizioni in alcuni Paesi e culture che hanno una mentalità diversa su questo problema. Io credo che la Chiesa, o meglio i cristiani perché la Chiesa è santa, non solo devono chiedere scusa come ha detto quel cardinale “marxista”... ma devono chiedere scusa anche ai poveri, alle donne sfruttate, devono chiedere scusa di aver benedetto tante armi, di non aver accompagnato tante famiglie. Io ricordo da bambino la cultura cattolica chiusa di Buenos Aires: non si poteva entrare in casa di una famiglia di divorziati. Sto parlando di ottant'anni fa. La cultura è cambiata e grazie a Dio, come cristiani, dobbiamo chiedere tante scuse, non solo su questo: perdono Signore, è una parola che dimentichiamo. Il prete “padrone” e non il prete padre, il prete che bastona e non il prete che abbraccia e perdona... ma ce ne sono tanti santi preti cappellani negli ospedali e nelle carceri, ma questi non si vedono, perché la santità ha pudore. Invece la spudoratezza è sfacciata e si fa vedere”.

Ha parlato di una commissione per studiare la possibilità delle diaconesse.
Ho chiesto dei nomi per fare una commissione, e adesso è lì sulla mia scrivania, sto per farla. Ma c'è un'altra cosa: un anno e mezzo fa ho fatto una commissione di donne teologhe che hanno lavorato con il cardinal Rilko, e hanno fatto un buon lavoro. Le donne vedono le cose in un'altra luce e la soluzione poi alla fine è sempre stata molto feconda e bella. Vorrei sottolinearlo: è più importante il modo di capire, di pensare, di vedere della donne che la loro funzione. E poi ripeto: la Chiesa è donna, è la Chiesa e non è zitella, è sposa di Gesù Cristo».

Quali sono i suoi sentimenti, lo stato d'animo e le preghiere che fa per il futuro del popolo armeno?
«Auguro per questo popolo la giustizia e la pace, e prego per questo, perché è un popolo coraggioso. Prego perché trovi la giustizia e la pace. So che tanti lavorano per questo, sono stato molto contento la settimana scorsa quando ho visto una fotografia di Putin con i due presidenti armeno e azero: almeno parlano! E anche con la Turchia: il presidente armeno nel discorso di benvenuto ha avuto il coraggio di dire: mettiamoci d'accordo, perdoniamoci e guardiamo al futuro. Questo è un coraggio grande, è un popolo che ha sofferto tanto. E poi l'icona del popolo armeno, che mi è venuta oggi mentre pregavo: una vita di pietra e una tenerezza di madre. Ha portato croci, croci di pietra, ma non ha perso la tenerezza, l'arte, la musica.

Al memoriale di Yerevan lei ha pregato senza fare discorsi. Farà lo stesso anche quando visiterà, in luglio, E ad Auschwitz, a luglio prossimo?
«Due anni fa a Redipuglia ho fatto lo stesso per commemorare il centenario della Guerra. Con il silenzio. Vorrei andare ad Auschwitz, in quel luogo di orrore senza discorsi, senza tante persone, soltanto le poche necessarie, anche se i giornalisti sicuro che ci saranno. Ma senza salutare questo o quello. Da solo, entrare e pregare che il Signore mi dia la grazia di piangere».

© Riproduzione riservata