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No dei banchieri allo «scudo» pubblico

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IL CONSIGLIO DELLA FABI

No dei banchieri allo «scudo» pubblico

Carlo Messina
Carlo Messina

Il primo “no” convinto lo pronuncia arrivando al 122° consiglio nazionale della Fabi (la Federazione autonoma bancari italiani), di scena all’hotel Ergife. «Non credo all’ingresso di capitale pubblico nelle banche, il nostro sistema bancario è molto solido e credo ci sia una esagerazione nella percezione del problema delle sofferenze, che sono più che coperte dal valore delle garanzie reali». Poi, salito sul palco per un question time insieme al leader della Fabi, Lando Maria Sileoni, e al segretario generale aggiunto Mauro Bossola, il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, rimarca il messaggio con ancora più forza. «Io non sono favorevole a un intervento di ricapitalizzazione delle banche - spiega il top manager -, non mi sembra necessario per quello che si vede oggi. La volatilità dei bancari in questo momento dipende dall’atteggiamento speculativo di grandi investitori, hedge fund Usa, che si risolverà nel giro di 3-4 settimane».

Insomma, nessuno “scudo” pubblico a difesa delle banche, ragiona Messina, «quello che si potrebbe fare semmai è rafforzare l’azione di Atlante garantendo una dismissione delle sofferenze a valori prossimi a quelli di carico». Per il ceo di Intesa Sanpaolo, dunque, la strada da percorrere è evidente e, quando gli si chiede se la sua banca è pronta a sostenere un potenziamento di Atlante, la replica è chiarissima. «La nostra partecipazione al fondo Atlante è già il massimo che riteniamo per il sistema bancario nel suo complesso. Non partecipiamo a un aumento della sua dotazione, ma se ci sono altri soggetti disponibili a investire sono ben accetti». Quello che, invece, non va proprio giù al banchiere è il bail-in rivolto alle famiglie. «È stato un errore e se riescono a sanarlo sarà un fatto positivo», sottolinea a margine. Per poi rincarare la dose, durante il question time, davanti a una platea che lo interrompe più volte per applaudirlo: applicare la normativa sui salvataggi bancari ai risparmiatori privati «è stato un errore clamoroso, non doveva essere approvato in sede parlamentare. Io mi sarei incatenato davanti al Parlamento pur di non farlo passare», sottolinea ancora Messina. «Serve far funzionare il bail-in - aggiunge - solamente sugli investitori istituzionali perché sono consapevoli di quali rischi corrono».

Ma il niet di Messina a un intervento pubblico nel capitale delle banche non è l’unico che si registra dal palco del consiglio nazionale della Fabi. Nel pomeriggio, infatti, è il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, a schierarsi contro una simile eventualità. «Le banche sono imprese e io non auspico che l’orologio della storia torni indietro in un momento come questo. Ognuno organizza la banca in cui lavora nella maniera più diversa in concorrenza con l’altro», spiega il numero uno dell’associazione. Per poi respingere l’idea che sia stato proprio il sistema bancario italiano quello più colpito dal voto britannico. «Le banche che hanno sofferto di più ieri e venerdì - rimarca Patuelli - non sono quelle italiane; ci facciamo un film che siamo quelli che hanno più problemi degli altri. Abbiamo tanti problemi, ma non siamo gli unici né abbiamo più problemi degli altri».

Sulla stessa linea di Messina e Patuelli, è anche il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, intervistato ieri dall’Adnkronos: gli istituti di credito italiani, è il ragionamento del banchiere, non hanno bisogno di una nuova protezione o di uno scudo salvabanche. Serve, invece, accelerare sul processo di smobilizzo dei crediti deteriorati, che pesano sui loro bilanci e rallentano l'erogazione di nuovo credito. Il voto per la Brexit nel referendum consultivo ha aperto una fase di incertezza, ora, però, chiosa Gros-Pietro, «è compito dei governi nazionali, come anche della Commissione Ue, eliminarla e gestire la transizione in modo intelligibile per il mercato».

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