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Se il rischio che dobbiamo fronteggiare è europeo

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L'Analisi|L’ANALISI

Se il rischio che dobbiamo fronteggiare è europeo

Il presidente del Consiglio ha detto ieri che quello in corso in Europa sul tema banche è un dibattito, non un negoziato: in altri termini, non c’è alcuna richiesta italiana in discussione. Già, ma di che cosa si sta discutendo? L’elemento centrale all’ordine del giorno è capire se il capolavoro politico di David Cameron, il referendum in Gran Bretagna con esito Brexit (un esito che sta cominciando a somigliare al “Partiam partiamo” del coro dei Lombardi) abbia aggiunto o meno un carico extra di instabilità finanziaria alla vita di Eurolandia.

Per paradossale che possa sembrare, infatti, non tutti concordano sul fatto che il knock out delle borse europee dei giorni scorsi, che ha visto su tutti i mercati le banche in forte sofferenza, possa essere assunto come una circostanza straordinaria, che merita di essere trattata (non in Italia ma in tutta Europa) con strumenti adeguati, già previsti dalle direttive comunitarie. Ma che ci siano dei problemi che riguardano le banche e che questi vadano fronteggiati lo ha sottolineato anche il presidente della Bce, Mario Draghi.

Il punto, insomma, è che l’onda che si propaga dalla crisi inglese, la volatilità che erode i valori di borsa delle aziende di credito, che finiscono con il pagare anche lo scotto di un risorgente rischio-paese, non è una questione destinata a investire solo l’Italia; non è nemmeno una questione che potrà risolversi in pochi giorni. E quello dei crediti deteriorati non è un problema solo made in Italy, se il Fondo monetario continua a pubblicare statistiche che cifrano le sofferenze delle banche europee sui 900-1.000 miliardi.

Ma se i problemi sono di natura sistemica, tanto i singoli governi quanto chi ha la responsabilità della governance europea ha il dovere di tutelare i risparmiatori (che, come si è scoperto di recente in corpore vili, spesso coincidono con i tax payers). E c’è un altro dovere, che è quello di contrastare le situazioni che permettono di “vincere facile” a chi specula. Si tratta cioè, né più né meno, di tutelare la stabilità finanziaria.

Nell’insieme, il sistema bancario italiano è solido, come ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia, anche nella sua ultima audizione in Parlamento. E troverà la strada per smaltire quelle sofferenze che sono l'eredità di una recessione durata otto anni, con una caduta del Pil del 10 per cento e una flessione dell'attività produttiva del 25 per cento. Però, all'interno di un settore creditizio che, nonostante tutto, è sostanzialmente sano, esistono casi che vengono attentamente monitorati. E per questi specifici casi occorrono soluzioni semplici e rapide: non servono più le lunghe e bizantine interlocuzioni con Bruxelles, perché nessuno, in quel che resta dell'Europa, può più permettersele.

Come ha spiegato il presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, Roberto Gualtieri, la direttiva BRRD già prevede, in alcuni casi e determinate condizioni, la possibilità di interventi pubblici, di supporto, sia in termini di garanzia che in termini di ricapitalizzazione, quando ciò sia necessario a preservare la stabilità finanziaria. Ma, soprattutto, Gualtieri ha chiesto espressamente una correzione dell'interpretazione che finora questa Commissione Ue ha seguito nella sua politica di aiuti di stato, impedendo di adottare misure alternative di tipo preventivo (come, per esempio, il ricorso al Fondo interbancario di tutela dei depositi) e bloccando, quindi, la possibilità di usare in modo pieno le fattispecie della direttiva europea ideate per prevenire le crisi bancarie. Speriamo che queste argomentazioni trovino ascolto. Così magari, tra qualche mese, potremo parlare di Brexit come di una “provvida sventura”.

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