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Atlante-bis, ipotesi ricapitalizzazione con Cdp, fondi e casse…

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Attualità

Atlante-bis, ipotesi ricapitalizzazione con Cdp, fondi e casse previdenziali

Di fronte alle difficoltà della trattativa con l’Unione europea, spunta nel piano di Palazzo Chigi, del Mef e del Mise per il sostegno alle banche, l’ipotesi di una ricapitalizzazione dell’unico veicolo che Bruxelles ha già legittimato, il fondo Atlante. Al centro di questa operazione ci sarebbe soprattutto un apporto di capitale di Cassa depositi e prestiti, ma il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, non ha escluso che nel fondo potrebbero entrare casse previdenziali e fondi pensione, su cui da tempo il Mef fa pressione per un maggiore coinvolgimento nel finanziamento dell’economia reale. Proprio il sostegno dell’economia reale è uno dei driver del piano industriale di Poste Italiane, che comunque attraverso Poste Vita è entrata nel fondo Atlante con 250 milioni, seppure nell’ambito di un’operazione di sistema di tutto il comparto assicurativo oggi alla ricerca di investimenti delle riserve tecniche che diano rendimenti più elevati. Nei giorni scorsi però la società assicurava di non essere stata coinvolta in nuovi progetti sulle banche.

L’ipotesi di un Atlante-bis, o meglio di un rilancio di Atlante, sarebbe una delle diverse opzioni “tecniche” che il governo italiano sta valutando all’interno del dossier per il sostegno agli istituti di credito in difficoltà, in cantiere in questi giorni a Palazzo Chigi. A oggi, però, non ci sono elementi per ritenere che sia questa l’opzione favorita.

Atlante, dopo essere intervenuto su operazioni di aumento di capitale delle popolari in difficoltà, costituisce uno strumento votato oggi soprattutto al mercato degli Npl e all’obiettivo di una riduzione delle sofferenze in carico al sistema bancario italiano. La nuova dotazione servirebbe, invece, a consentirgli nuovi interventi nel capitale di rischio delle banche.

Uno dei punti chiave, però, in questo caso restano le dimensioni dell’intervento. Perché rischiano di essere comunque modeste rispetto alle ipotesi di cui si è parlato in questi giorni, considerando che già la prima dotazione del fondo è rimasta intorno ai 4 miliardi. Va ricordato, inoltre, che la prima versione di Atlante ha avuto il via libera da Bruxelles proprio perché è uno strumento misto pubblico-privato. Per funzionare, quindi, dovrebbe continuare ad avere un apporto significativo da soggetti privati: da qui anche il riferimento a casse previdenziali e fondi pensioni.

Il punto-chiave resta che, senza un «via libera» di Bruxelles alla sospensione temporanea delle normative Ue su aiuti di Stato e «bail in», sulla base per altro delle ipotesi ammesse all’interno di queste stesse normative, difficilmente potrà andare in porto un piano di sostegno alle banche del governo italiano.

L’obiettivo del negoziato a livello europeo punterebbe a ottenere una sospensione temporanea delle normative per poi lasciare ai singoli Stati la scelta di quali strumenti utilizzare. E l’Italia non sarebbe l’unico paese a beneficiare di quella sospensione, considerando le difficoltà di banche tedesche e spagnole.

Il tavolo con i diversi strumenti allo studio in Italia comunque può fare passi avanti solo se arriva un riscontro da Bruxelles.

Nella vasta gamma di ipotesi che il piano sta prendendo in considerazione, quelle considerate ancora risolutive delle difficoltà attuali, anche sul piano quantitativo, restano quelle legate a un intervento del governo nel capitale delle banche, in forma diretta o per tramite della Cdp. Ipotesi contro la quale, per altro, si sono schierati alcuni banchieri, dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, al ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Con una difficoltà in più, nel caso di intervento nel capitale degli istituti in difficoltà della Cassa depositi e prestiti: che questa verrebbe attratta nell’area della vigilanza bancaria, oltre probabilmente a dover modificare lo statuto. L’ingresso nel capitale di rischio delle banche, in base alle regole imposte da Basilea 3, imporrebbe alla Cdp di vincolare una rilevante quota del proprio patrimonio ai fini prudenziali togliendo alla Cassa risorse da destinare alle molteplici iniziative a sostegno dell’economia reale.

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